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“Racconti di un Cosmonauta”, il nuovo Album degli Ouroborus

Ascolto il nuovo album degli Ouroborus in auto. Massimo, il chitarrista del Gruppo, mi ha appena portato una copia e decido di metterlo nel lettore, curioso di sentirlo. Le sonorità del Gruppo mi sono già note, ho apprezzato  il primo Cd (The instrumental alchemy – 2012), ma come sarà questo secondo album? Ho subito la conferma: i brani mi piacciono immediatamente, anche se l’attenzione è rivolta alla guida colgo la magia che i miei amici musici sono riusciti a creare con la loro musica alchemica.

Ma per analizzare l’ultimo lavoro di Lele, Massimo, Davide e Dino, ho bisogno di portare il Cd a casa ed ascoltarlo attentamente. Ed ogni volta ho una sensazione diversa e un nuovo spunto emotivo.

Scorriamolo tutto questo “Racconti di un Cosmonauta” (Home recorded – mixed by Gio’ Manenti) che già dalla copertina (grafiche by Lelepanz) mette in scena i temi che vengono proposti  e che un immaginario cosmonauta ci narra dopo avere vagato nello spazio tra mondi conosciuti e sconosciuti.

Partiamo dal primo brano, Maestrale di marzo, che molti hanno avuto già il modo di apprezzare perché gli Ouroborus (Davide Spreafico – clarinetto, sax, flauti – Davide Maggi – batteria, percussioni – Massimo Deo – chitarre, basso elettrico – Emanuele Panzeri – chitarre, coral sitar, mandolino, oud, voci) lo suonano a conclusione del nostro spettacolo teatrale “Io sono la mia opera”, dove i quattro ragazzi stanno in scena a sottolineare, con le loro musiche originali, le parti interpretate dalle sei attrici protagoniste.

Un brano che quindi amo particolarmente, ma non ne scrivo così solo perché sono “parte in causa”. No, la bellezza del brano è innegabile.

Il vento di marzo porta dolci suoni dopo il lungo inverno.

Il vento di marzo, se spira da nord-ovest, è il maestrale, che sconvolge con la sua forza la vita sospesa della natura, delle piante e di tanti animali.

La chitarra, il mandolino e le percussioni tessono la trama su cui il clarinetto di Dino disegna la melodia di quella forza.

Deve averlo sentito quel vento sul volto e tra i capelli il nostro narratore, il cosmonauta che ci fa ascoltare la meraviglia che i nostri compositori hanno cercato di tradurre in musica.

La seconda traccia, Il cimitero degli elefanti ha già ricevuto un premio come miglior brano inedito (premio Beppe Gentile, qui il link http://www.unpaeseperstarbene.it/2014/gli-ouroborus-premiati-con-il-cimitero-degli-elefanti/ ).

Un brano che porta il nostro esploratore di mondi a seguire il passo cadenzato di un elefante (Lele qui usa l’Oud, uno strumento a corde arabo). Le sonorità si fanno tribali con le percussioni di Davide. La musica si interrompe per ripartire ed interrompersi nuovamente con gli altri strumenti a raffigurare lo scenario di grandi ossa biancheggianti che ricordano la potenza e la proverbiale memoria di quei magnifici mastodonti.

Il nostro Cosmonauta si sposta di pochi passi, attraversa il deserto e Oltre le dune scopre giardini pensili e cupole, dove le sonorità arabeggianti dei flauti, della chitarra e del coral sitar invitano a danze sensuali di donne velate. O forse quel che si intravede oltre le dune non è che un miraggio.

Un salto nello spazio ed eccoci nella musica vorticosa de Gli anelli di Saturno. Attraversarli significa vivere esperienze diverse, perché ogni anello suggerisce atmosfere musicali  differenti. Il brano (un pezzone, come direbbe Lele presentandolo in un concerto dal vivo), è quello più lungo dell’album, ben 10 minuti e 54 secondi per l’esattezza. Nel primo anello sono la chitarra di Massimo e la slide guitar di Lele a giocare tra loro. Nel secondo anello l’atmosfera è più rarefatta,  il clarinetto di Dino singhiozza e introduce i vocalizzi di Lele in sincrono con la chitarra e con la musica che si fa di nuovo vorticosa. Nel terzo anello il flauto, con ritmi Jazz sulla ritmica del basso e della batteria, prepara all’esplosione finale con tutti gli strumenti e la voce in un inno rock fino al silenzio interstellare, 24 secondi di silenzio assoluto, come è il silenzio nello spazio infinito.

Si torna sulla terra con Il cieco e il mare, il nostro narratore ci suggerisce come è il mare “visto” da un cieco. E se chiudiamo gli occhi anche noi, con la musica, possiamo assaporare quel profumo e quella brezza leggera del mare. Le sonorità mediterranee del mandolino e dei flauti richiamano la risacca delle onde, con la chitarra ad inseguire e a sovrapporsi alla melodia degli altri due strumenti.

Siamo al sesto brano e il titolo, ovviamente, mi emoziona. E’ Io sono la mia opera. No, non troverete tutti i brani che hanno accompagnato la messa in scena del teatro civile contro la violenza e la discriminazione sulla donna. Gli Ouroborus decidono di prendere un solo frammento, di arrangiarlo e modificarlo, ampliarlo fino a farlo divenire un brano bellissimo. La “canzone di Hina”, quella che abbiamo ascoltato durante il monologo di Aurora che interpreta la ragazza pakistana trucidata a Brescia dai suoi familiari, diventa qui una dolce ballata con le chitarre di Massimo e Lele (slide guitar) e il clarinetto di Dino, che poi, con il sassofono, trasforma la ballata in un pezzo funky sul ritmo della batteria di Davide.

Così il nostro Cosmonauta narratore ha voluto rendere omaggio al nostro teatro civile, magari dopo aver assistito ad un nostro spettacolo, confuso tra i mille spettatori che l’hanno visto…

E a proposito di teatro una curiosità: Maestrale di marzo, Il cieco e il mare e, in parte, Oltre le dune avrebbero dovuto far parte della colonna sonora di “In nome della madre” un progetto teatrale che non ha ancora visto la luce, pezzi ispirati ai nostri musici dalla lettura del libro di Erri De Luca.

Ma non è ancora la fine, c’è tempo per un ultimo brano. Nei mondi visitati dal Cosmonauta non tutti i pianeti sono come il nostro dove le stagioni sono quattro. Ce ne deve essere uno dove c’è La quinta stagione che ha la sonorità corale di tutti i nostri musicisti in un brano composito e quasi epico con i vocalizzi di Lele (e la chitarra 12 corde) a fare da contrappunto ai “fiati” di Dino e poi altre atmosfere in questo che è il brano più complesso dell’album, perché la quinta stagione (a differenza delle altre quattro a noi note) sorprende ad ogni passaggio.

Insomma, una grande prova quella degli Ouroborus. Andateli ad ascoltare dal vivo e prendete il loro CD, impreziosito anche dalle fotografie di Chiara Arrigoni.

Il prossimo appuntamento è alla festa delle corti a Garlate il 13-14 settembre dove il CD sarà presentato ufficialmente, ma non è escluso che gli Ouroborus si facciano vivi anche prima, magari lungo le sponde del lago di Garlate a provare dal vivo i nuovi brani.

Gli Ouroborus in concerto – Foto Chiara Arrigoni

 

 

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