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Da Michelangelo, terzo corrispondente dall’estero: Marinaleda, Spagna: un paese, un’utopia

Dopo le corrispondenze di Alice dal Giappone https://www.unpaeseperstarbene.it/2010/made-in-japan-dalla-nostra-alicecorrispondente-da-osaka/ e di Beatrice dal Belgio https://www.unpaeseperstarbene.it/2010/il-sud-del-nord-europa-una-corrisondenza-dal-belgio-di-beatrice-barachetti/, ecco il nostro terzo corrispondente dall’estero: Michelangelo Morganti ci scrive dalla Spagna.

Leggendo l’articolo vien voglia di partire per vedere il paese di Utopia. Perché non fare un gemellaggio?

Anche a Miche un ringraziamento dalla redazione di Upper.

FIG_4_panelMARINALEDA, SPAGNA: UN PAESE, UN’ UTOPIA

Ci accoglie il Che. Un faccione di 10 metri dipinto con cura sul muro del fiammante palazzetto dello sport comunale, affiancato dal simbolo del comune: una colomba bianca in volo sopra il paese con la scritta “Marinaleda, un’ utopia per la Pace”. Il simbolo è disegnato a mano, come quello di “Un paese per star bene”, il paragone quasi mi commuove e da lì diviene inevitabile l’incessante confronto col paesello natio.

Siamo a Marinaleda, 2.650 persone, profonda Andalusia, sud della Spagna. Un contesto economico e sociale paragonabile forse a quello di qualche paesino della Sicilia interiore. Qui dominano i señoritos, latifondisti con proprietà terriere sterminate e poteri di tipo sostanzialmente feudale. È Venerdi Santo, nei paesi qui attorno da una settimana ci sono processioni giornaliere delle varie Confraternite, in cui adulti e bambini sfilano a passo scandito da pesanti tamburi, coperti con lunghi cappucci di panno viola, portando a spalla enormi statue di madonne stuccate d’oro e coperte di fiori.

A Marinaleda invece in questi giorni il comune si apre e si racconta, in un festival di tre giorni ricco di inizative e di spunti di riflessione. Per l’occasione il comune ospita gratuitamente nelle sue strutture decine di ragazzi che arrivano interessati da tutta la Spagna. Siamo forse gli unici italiani presenti, e ci fanno da guida degli amici –anarchici- madrileñi; con loro andiamo ad assistere all’Assemblea Pubblica, alle 20.00, al bar del Sindacato dei Lavoratori della Terra (SOC). Si proietta un documentario che racconta la storia del paese, e ci sono tutti.

Nel 1975, alla morte di Franco, Marinaleda è un paese come tanti da quelle parti. Tutti sono contadini stipendati alla giornata, lavorano solo quando ce n’e bisogno, tre-quattro mesi l’anno. Per il resto del tempo il Duca, il proprietario di tutto per molti chilometri lì intorno, non ne ha bisogno e non li paga. Nessuna prospettiva di cambiamento è all’orizzonte, il regime è caduto ma i potenti sono tutti rimasti ai loro posti. “La transizione” qui potrebbe non arrivare mai.

Alle prime elezioni libere, nel 1979, diventa sindaco Juan Manuel Sanchéz Gordillo, esponente di Izquierda Unida (Sinistra Unita: un partito nato dall’unione di vari partitini locali, ad oggi il referente in parlamento a sinistra del PSOE di Zapatero). Coordinati e animati da Juan Manuel e organizzati in struttura sindacale, i contadini di Marinelada decidono di rompere lo schema che li vede sostanzialmente schiavizzati al Duca e iniziano una serie di azioni rivendicative che attraverso lunghe occupazioni, marce in paese ma non solo (anche a Madrid se li ricordano quelli di Marinaleda quando sono arriavti sotto il palazzo reale!) e un intelligente appoggio legale, li porterà passo a passo a divenire proprietari delle terre che lavoravano. La corte suprema spagnola riconosce il diritto di quei lavoratori di divenire propietari di quelle terre che per generazioni avevano lavorato senza di fatto trarre alcun beneficio, mentre il Duca si arricchiva a dismisura senza aver mai messo piede sui quei terreni.

Oggi, a 27 anni dall’inizio delle lotte (la prima occupazione è dell’83), i lavoratori sono titolari a proprietá condivisa di un bacino idrico, di una fattoria con 12.000 ettari di terreno e dell’unica industria del paese. Oggi, nel centro di una regione dove la disoccupazione sfiora il 30%, qui tutti hanno un lavoro, e per 6 ore al giorno di impegno tutti hanno lo stesso salario, da chi lavora le terre a chi inscatola i peperoni a chi amministra l’azienda.

Ma il progetto Marinaleda non si ferma qui. I lavoratori considerano l’amministrazione del comune come un mezzo in più per distribuire giustizia sociale e benessere e, una volta conquistate le terre, pensano a dare a tutti una casa.

Il comune di Marinaleda ha creato con questo fine un sistema per cui un cittadino, firmando un mutuo di 150 anni e 15 euro al mese riceve in cambio terreno, materiale, progetto e 2 operai per costruirsi la casa. Ogni 20 cittadini richiedenti il comune avvia la costruzione di un blocco di case, identiche tra loro e alla cui costruzione partecipano i futuri inquilini, ognuno impegnandosi per quel che permettono le sue capacità ed energie. Il comune riconosce e paga il lavoro del futuro inquilino, scontado le ore lavorate dall’ammontare del mutuo. Risultato: con qualche mese di lavoro e un mutuo ridotto a 30 anni (a 15 euro al mese!) tutti possono avere una casa. Credo sia l’unico posto in Europa e certamente in Andalucia dove una studentessa universitaria di 24 anni, sola e con un figlio possa permettersi di comprar casa.

Ci tenevo a raccontare almeno qualcosina di Marinaleda a quelli di “Un Paese per Star Bene” per condividere un poco della speranza e dell’allegria che ho potuto respirare in quel paesino: commovente esempio di come cittadini uniti da una volontà e da idee comuni abbiano potuto davvero cambiare il mondo, almeno un pezzetto. Insomma una boccata d’aria in questi tempi bui, dove anche sognare sembra un lusso riservato a pochi.

Vi invito a visitarlo, la prossima occasione pubblica sarà a metà luglio, per la festa del paese.

Vi segnalo poi un bell’articolo su Marinaleda apparso l’anno scorso sul Corriere:

http://www.corriere.it/esteri/09_giugno_11/reportage_marinaleda_spagna_io_donna_9457bf1c-567f-11de-82c8-00144f02aabc.shtml

E per chi volesse ancora piú informazioni:

www.marinaleda.com

http://it.wikipedia.org/wiki/Marinaleda

Un saluto a tutti!

Michelangelo

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4 pensieri su “Da Michelangelo, terzo corrispondente dall’estero: Marinaleda, Spagna: un paese, un’utopia”

  1. qualcuno ha notato che il cambiamento è arrivato dalla terra e dai contadini che l’hanno lavorata? Questo è un grande insegnamento per quelli che si limitano a macinare teorie e non sanno tenere in mano una vanga. seguiteci gente

  2. Ciao grande michi, il tuo racconto mi ha fatto capire se si vuole cambiare si può anche se hai contro il tiranno che non ti rispetta e ti usa.
    Da questa storia si può ripartire; noi italiani dobbbiamo ribellarci e cambiare.
    Ciao un saluto un abbraccio da chi ti stima…

  3. Caro Michelangelo, avrei voluto subito commentare il tuo viaggio in utopia, ma ero al mare a scaldare un po’ le ossa (intento vano causa maltempo).
    Che dire, sono rimasto senza parole. Per uno come me che ha passato parte della sua vita a progettare scenari e suggestioni per il proprio territorio, sapere di queste esperienze viene fortemente il dubbio di avere sbagliato tutto. O per lo meno, di aver conseguito risultati di scarso valore rispetto all’enorme quantità di tempo ed energia impiegati. Proprio come i primi motori a scoppio.
    Certo, ti viene da pensare che vivere in una società a capitalismo maturo come la nostra, dove le regole della finanza e dell’economia sono complesse e fortemente strutturate, riuscire a ribaltare concettualmente il modo di affrontare e risolvere questioni fondamentali come il lavoro e la casa, è forse impossibile.
    Mi viene in mente quella famosa battuta di Einstein “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa.” Forse ci manca il coraggio dello sprovveduto, per mettere in discusisone dalle fondamenta alcuni modi di organizzare politica, economia e socialità che, ormai dovrebbe essere chiaro ai più (ma non lo è), non hanno funzionato.
    Io ormai sono troppo vecchio, un poco arrugginito e sgangherato per mettermi completamente in discussione e riprovarci. Solo a voi l’arduo compito e a noi quello di consegnarvi, per ristorarvi durante il viaggio, il poco, o il molto, che di buono siamo riusciti a mettere insieme.
    Ciao e alla prossima.
    Con affetto, Angelito

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