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Il sindaco Gianni ha raccontato ai nipoti la Liberazione del 25 Aprile

Il 25 Aprile 1945, Festa della Liberazione, è stato ricordato a Monte Marenzo con una partecipazione che non si vedeva da tempo e con dei momenti assai toccanti.

A scandire la manifestazione le note delle canzoni per la libertà prima, poi, sotto la regia di Elio Bonanomi Presidente degli Alpini, l’Inno nazionale e il Silenzio che accompagnavano l’alza bandiera e la posa delle corone d’alloro al monumento dei Caduti.

Don Giueppe Turani ha celebrato la messa in suffragio e ha svolto un’omelia assai intensa. In particolare ha più volte richiamato ogni componente della comunità all’impegno per la pace e la solidarietà, ed ha evocato il sacrificio di Gesù per la salvezza dell’uomo, per la sua libertà da condividere con l’altro. Il senso più profondo per i credenti e per tutte le persone, ha continuato, è l’accoglienza dei fratelli  senza alcuna distinzione, perché questo feconda e incarna ogni giorno il messaggio evangelico.

La cerimonia si è spostata poi in piazza Municipale dove il sindaco Gianni ha tenuto un discorso privo di retorica e di luoghi comuni. Ha voluto parlare del significato del 25 Aprile come lui l’ha vissuto, raccontandolo come se stesse parlando a suo nipote. Di seguito riportiamo integralmente il suo discorso che è la storia fondativa del nostro Paese raccontata alle nuove generazioni.

Sono seguite poi 14 letture, sulle quali si sono avvicendati 14 diversi cittadini, che hanno come tema le testimonianze dei campi di sterminio nazisti e sulle stragi fasciste in Italia, la Resistenza, la Costituzione e i rischi che ha corso e corre la nostra giovane democrazia. Il testo integrale di queste letture lo trovate a questo link 25 Aprile 2010_Letture scelte

Monte Marenzo 25 Aprile 2010 – Discorso del sindaco Gianni Cattaneo.

Quest’anno ricorre il 65 ° anniversario della liberazioni dal nazifascismo.

Quest’anno, per la prima volta, ho l’onore di celebrare questo anniversario da sindaco di Monte Marenzo.

Per la prima volta mi trovo a dover parlare sul palco, mentre per quasi 60 anni ho ascoltato tra il pubblico tanti sindaci, tante personalità che ogni anno, il 25 aprile ci hanno ricordato cosa fu la Liberazione e la lotta di Resistenza.

Allora mi sono chiesto cosa avrei potuto dire oggi.

Da pochi mesi sono diventato nonno e allora mi sono immaginato come un nonno poteva raccontare a suo nipote cosa è stato il 25 aprile.

Un nonno come me, che non ama tanto i discorsi retorici, può solo raccontare cosa ha rappresentato per me e per molti della mia generazione il 25 aprile.

Ho 65 anni e sono nato durante la guerra.

Avevo solo un mese quando la guerra finì, non posso ovviamente ricordare nulla di personale, ma ricordo cosa mi raccontarono i miei genitori di cosa accadde in quei giorni.

Il 25 aprile ci fu la liberazione di Milano e da allora si festeggia quella data come anniversario della Liberazione.

Ma per la nostra provincia e per la valle San Martino il 25 aprile 1945 fu ancora un giorno di guerra e lo furono anche i giorni successivi fino al 27 aprile.

Il 26 aprile a Cisano Bergamasco vi furono 11 vittime tra civili e partigiani della Brigata Albenza che fermarono una colonna di fascisti repubblichini e tedeschi.

Un’altra colonna nazifascista si avvicina alla città di Lecco; i tedeschi si chiudono nelle scuole elementari, i fascisti riescono a passare tranne un gruppo che si attesta in via Como, deciso a difendersi fino alla resa che costerà ai partigiani quattro morti.

Da allora quella via prende il nome di Corso Martiri, a ricordo di quei caduti.

La guerra poi finiva anche nel nostro territorio, ma non finì immediatamente la fame e i problemi che la guerra aveva portato.

Ancora per mesi e per anni si visse nell’incertezza e nella povertà.

Così visse la mia famiglia e tante altre famiglie dei nostri paesi.

Ma una cosa arrivò finalmente dopo tanti anni di oppressione fascista: la libertà.

Finalmente il popolo italiano poteva nuovamente respirare quest’aria grazie alla vittoria degli eserciti alleati e grazie alla lotta partigiana che riscattò il nostro paese dall’infamia fascista.

Fin da piccolo ho festeggiato questa data, da quando frequentavo le scuole elementari. Allora si usava portare i bambini in piazza per ascoltare i discorsi ufficiali.

Io non potevo capire molto di quello che si diceva. Ero più attento ai giochi tra i compagni di scuola.

Tutto era un gioco, anche quello di cercare i pezzi di ferro e di rame che gli operai scartavano nella ricostruzione del ponte della ferrovia del Lavello bombardato nel 1944.

Intorno a me erano ancora evidenti i segni della guerra che aveva portato distruzione e morte.

Poi però, crescendo, in piazza ci andai da solo, non costretto da nessuno.

E cominciai a capire il significato di quella festa.

Sul manifesto che l’Amministrazione ha fatto affiggere per ricordare il 25 Aprile, abbiamo voluto scrivere una frase. Ve la voglio rileggere:

“Una generazione di donne e uomini che, pure soffocati dall’immane tragedia provocata dal  fascismo, si sono sempre battuti per le ragioni della vita e per la dignità del nostro Paese, hanno perseguito con il cuore e la mente il progetto di consegnare alle giovani generazioni un paese libero e democratico.”

Ci è sembrato questo il più profondo significato di quella pagina di storia.

Io da ragazzo avevo compreso questo. Ma crescendo capivo anche che molte ingiustizie continuavano ad esserci.

Allora fu naturale per me affrontare l’impegno politico e le lotte sindacali. A cercare di affermare quei valori di giustizia per i quali quegli uomini e quelle donne si erano battuti.

Fu così che incontrai anche tanti compagni che la Resistenza l’avevano vissuta.

Come Lino Gabbia di Foppenico, che abitava nel mio stesso cortile, preso a Bergamo a 18 anni e tornato da Mathausen un anno dopo la fine della guerra. Mi colpì il fatto che un uomo potesse ridursi a 30 chili per gli stenti del campo di lavoro in Germania.

Mi hanno raccontato la storia dell’Arciprete del mio paese, Calolzio: Don Achille Bolis, sospettato di aver aiutato i ribelli viene arrestato e condotto  alla sede delle SS all’Hotel Regina di Milano e poi nel carcere di San Vittore dove una sera, ritornando in cella grondante sangue dopo l’ennesima tortura, morirà tra le braccia dei compagni di prigione.

Quest’anno il 22 gennaio 2010 si è svolta la Cerimonia di scoprimento della lapide dove sorgeva l’Albergo Regina a Milano.

Numerose le testimonianze. Una di queste è ad opera di Guido Arturo Tedeschi, un ebreo che all’epoca aveva cinque anni.

Tedeschi ha voluto sottoscrivere la petizione in memoria di Achille Bolis, che ha protetto Guido e tutta la sua famiglia e non ha tradito i partigiani con cui era in contatto.

Anche qui a Monte Marenzo, ho conosciuto la compagna Enrica che fu partigiana delle Brigate Garibaldi nella Repubblica dell’Ossola.

Ascoltando questi testimoni mi ha colpito una cosa. Da loro veniva sempre lo stimolo a non mollare, a continuare a tenere viva l’idea della giustizia sociale.

Ora dobbiamo essere noi a passare questo testimone ai giovani che subiscono il disastro della scuola pubblica, la precarietà del lavoro e l’incertezza del futuro per una crisi economica molto grave.

Dobbiamo insegnare che il diritto alla libertà degli uomini in tutte le parti del mondo deve essere aiutato anche da noi.

Ecco cosa mi piacerebbe raccontare ai miei nipoti.

Il sindaco di Monte Marenzo

Gianni Cattaneo

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4 pensieri su “Il sindaco Gianni ha raccontato ai nipoti la Liberazione del 25 Aprile”

  1. penso che, chi non era in piazza ieri ha perso un occasione,il discorso celebrativo del sindaco è stato molto bello ed emozionante come pure i brani letti.Complimenti a gianni e a tutti i presenti ,fotografo compreso.

  2. … E complimenti per la ricca scelta di letture sulla Resistenza, la Libertà, la Pace… I documenti e le testimonianze sono così tanti e tutti così belli che deve essere stato davvero arduo fare una scelta.
    Auspicando che si possa organizzare un ciclo di incontri a tema in Biblioteca, dove poter approfondire questo momento della nostra storia perché ne resti memoria e non possa più ripetersi, vi voglio riportare due brani tratti dal romanzo “Una questione privata” di Beppe Fenoglio, di cui Sergio vi ha già parlato nei consigli di lettura.
    Il primo è il dialogo di una signora anziana con uno dei partigiani a cui lei era solita dare rifugio quando serviva (cioè sempre):
    “- E invece? Invece quando sarà finita? Quando potremo dire fi-ni-ta?
    – Maggio.
    – Maggio!?
    – Ecco perché ho detto che l’inverno durerà sei mesi.
    – Maggio, – ripeté la donna a se stessa. – Certo che è terribilmente lontano, ma almeno, detto da un ragazzo serio e istruito come te, è un termine. E’ solo di un termine che ha bisogno la povera gente! Da stasera voglio convincermi che a partire da maggio i nostri uomini potranno andare alle fiere e ai mercati come una volta, senza morire per la strada. La gioventù potrà ballare all’aperto, le donne giovani resteranno incinte volentieri, e noi vecchie potremo uscire sula nostra aia senza la paura di trovarci un forestiero armato. E a Maggio, le sere belle, potremo uscire fuori e per tutto divertimento guardarci e goderci l’illuminazione dei paesi.”

    In tempo di pace non si pensa a quanto preziose siano la pace e la libertà, a quali siano le cose davvero importanti, che rendono la vita bella e degna di essere vissuta.

    E ora un dialogo più leggero, tratto dallo stesso libro, tra il partigiano Milton e il suo comandante; mi ha fatto venire in mente i nostri bambini e ragazzi che stanno mietendo successi con il Minibasket e il nostro nuovo palasport che ha sostituito il campo da tennis (senza voler nulla togliere a quest’ultimo sport, ovviamente):
    “– Non ti senti bene? diceva Leo con la sua querula pazienza. – Ti sto chiedendo se giocavi a tennis nella vita.
    – No no. – rispose a precipizio. – Troppo caro. Sentivo che quello era il mio gioco, ma troppo caro. Il solo prezzo della racchetta mi faceva rimordere la coscienza. Così mi diedi alla pallacanestro.
    – Magnifico sport – disse Leo. – Tutto anglosassone. Milton, non ti è mai passato per la testa, allora, che chi praticava la pallacanestro non poteva esser fascista?
    – Già. Ora che mi ci fai pensare.
    – E tu, eri un buon cestista?.
    – Ero… discreto. “

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