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Il silenzio delle sirene

La fucina del Caleotto

Fino a pochi anni fa si diceva: “Qui da noi, al mattino, tiri su la luce, ci metti due macchine e quattro operai e alla sera l’officina è in grado di funzionare a pieno regime”. Che fosse la lavorazione del ferro, la costruzione di macchine utensili, la produzione manifatturiera, o altro, le cose stavano proprio così, tale era la cultura della fabbrica e la capacità di imprenditori, artigiani e operai.

La disoccupazione nel lecchese competeva al ribasso con la locomotiva tedesca, le esportazioni tiravano, le imprese facevano profitti e, cosa importante, i lavoratori e le loro famiglie godevano di diritti e di risorse economiche per condurre una vita dignitosa e civile.

Ora le sirene non fischiano più a scandire il pulsare delle grandi fabbriche – tutte chiuse – e una grande quantità di piccole e medie unità produttive si reggono sulle stampelle degli ammortizzatori sociali.

I segnali che circolano in questo periodo non lasciano ben sperare. Le aziende pensano che la soluzione sia comprimere i salari e portare le fabbriche all’estero, il ministro Sacconi è impegnato a tagliare i diritti ai lavoratori e dividere i sindacati e alle famiglie non resta altro che attingere ai risparmi di una vita.

Basta percorrere i trecento metri centrali di via Manzoni del nostro paese e raccogli le storie, le tante storie di chi è in cassa e mobilità. Se saluti le donne che conosci e chiedi della famiglia, il più delle volte di certo, ti senti chiedere informazioni e aiuto per avviare al lavoro figli e nipoti: “…hanno mandato in giro tanti curriculum, ma nessuno risponde”.

E’ vero, la crisi è globale, però è altrettanto vero che il governo è una sciagura tutta nostra. Non solo i suoi componenti  sono impegnati giorno e notte a farsi gli affari loro, in più sono degli incapaci, non sanno neanche raddrizzare un chiodo. Come amministrazione comunale, nel nostro piccolo, abbiamo più volte incontrato le parti sociali per capire come va qui da noi, a Monte Marenzo.

Si soffre, si soffre maledettamente. I sindacati sono diventati come i medici condotti, chiamati a destra e sinistra per prestare le cure a un malato in condizioni preoccupanti. Accordi su prepensionamenti, licenziamenti, mobilità senza ritorno, raramente sono medicine che guariscono, bensì cure palliative per alleviare i dolori del moribondo.

Lo stabilimento di Monte Marenzo della FondMetalli non ha futuro e probabilmente entro novembre cessa l’attività. La parte commerciale e tecnica viene trasferita a Palazzago, alla quale vanno aggiunti circa 10/12 addetti alla produzione. Nel frattempo, per i lavoratori dichiarati in esubero (circa 20/22 tutte donne), si attiveranno ammortizzatori sociali sul lungo periodo (mediamente due anni), che probabilmente li accompagneranno fuori dal ciclo produttivo.

Sempre alla Levata l’altra grossa ditta a rischio è l’Eucasting s.p.a (pressofusione leghe in alluminio). L’azienda ha realizzato due fabbriche in Romania, a Pitesti e Scornicesti. Tra poco termina un contratto di solidarietà che dura da tre anni e, da quanto si capisce, l’orientamento è trasferire tutta la produzione oltre i confini nazionali. Già ora le forniture al gruppo Bosch (30% del fatturato) è prodotto negli stabilimenti romeni; di questo passo sarà dura garantire il posto agli attuali 100 lavoratori di Monte Marenzo.

Nel quadro generale meno preoccupanti appaiono le situazioni della Bettini e della Smaltiriva. La prima sembra aver superato le gravi difficoltà di due anni fa. Attualmente lamenta sì lavoratori in esubero, che potrebbe determinare un contratto di solidarietà, ma la proprietà sta facendo investimenti per rilanciare le produzioni tradizionali e per diversificarsi in altri settori. La seconda, pur chiedendo la cassa per alcuni lavoratori, ha ragionevoli capacità di aumentare il fatturato.

I segnali per una ripresa complessiva e stabile non sono incoraggianti, purtroppo, e quindi sarà giocoforza battersi a lungo fabbrica per fabbrica, posto di lavoro per posto di lavoro. Certo, sarebbe già un bel risultato non prestare più ascolto, e tantomeno consenso, a quanti nella stanza dei bottoni, potendolo e dovendolo fare, non hanno saputo mettere il lavoro al centro delle questioni nazionali.

3 pensieri su “Il silenzio delle sirene”

  1. Commenti come questo la dicono lunga sulla situazione in atto.

    “Sono soltanto un lavoratore (titolare di una piccola azienda). Sono soltanto uno tra le migliaia di “bersagli” nel mirino di equitalia. Faccio parte di quella massa critica di liberi professionisti che hanno subito l’onda della crisi dal 2008 senza ricevere nessun aiuto dallo stato, dalla politica o da tutti quegli enti che noi finanziamo e paghiamo. Sono uno dei tantissimi che, per non annegare o chiudere, è andato indietro con il pagamenti di tasse e balzelli vari. Noi che le tasse le paghiamo (gli evasori sono ben altri), semplicemente non abbiamo avuto la liquidità. Eravamo occupati a sopravvivere, consapevoli che poi avremmo avuto la possibilità di rateizzare: un nostro diritto di contribuenti.
    Siamo reduci di anni di zero liquidità e di banche che ti chiudono il fido per lavorare.
    E adesso arriva equitalia: ci terrorizza, cambia le regole del gioco a partita in corso, non ci da scampo. Minaccia la nostra casa, minaccia il nostro lavoro, si paventano chiusure di attività in tutta Italia. Siamo in moltissimi a non avere oggi la liquidità per far fronte su due piedi a questi esborsi. In quale paese civile un ente dello stato si pone in antitesi con i cittadini che finanziano l’ente stesso? In quale nazione si vuol far cassa immediata, per tappare i buchi prodotti da cattiva politica, mettendo in ginocchio migliaia e migliaia di lavoratori non “garantiti” da alcun posto fisso o, tantomeno, da stipendi certi? Chi ci difenderà nell’attuazione del principio della Costituzione che garantisce il lavoro, visto che vogliono farci chiudere? Pagare le tasse è un dovere (ci mancherebbe), tuttavia non essere vessati e minacciati è un nostro diritto. Io sono solo uno, ma in realtà siamo moltissimi. E’ tempo che ci contiamo in tutta Italia e in ogni città. Dobbiamo anticipare e non subire l’onda d’urto che sta arrivando. Sono convinto che siamo una massa critica di peso. La vera domanda è: quanti siamo?”
    Salvo D.

  2. L’Islanda sta meglio. A soli 2 anni dal disgraziatissimo 2009, nel quale sembrava completamente distrutta e fallita, si sta velocemente riprendendo sia per i posti di lavoro sia per la ripresa economica. Come ha fatto? a differenza dell’Argentina, del Cile, della Russia ecc ecc non ha seguito le ricette del Fondo Monetario Internazionale e invece che svendere il patrimonio pubblico ha mandato a c…re gli speculatori finanziari.

  3. Purtroppo la questione del lavoro, in particolar modo quello giovanile, rappresenta uan piaga, in Italia. Ciò rappresenta l’evidenza principale di come il nostro paese stia andando alla deriva. Un giovane su tre oggi non riesce a trovare lavoro. E chi lavora è sfruttato da contratti improponibili.
    E’ diventato impossibile aprire una nuova azienda, qualcuno di voi se ne ricorda una negli ultimi 10 anni?
    E che patria è quella che non riesce a garantirti nemmeno questo, un sacrosanto principio stabilito dall’articolo 1 della costituzione? Io voglio sapere, chi dobbiamo ringraziare per questo? Chi ha trasformato l’Italia da eccellenza nel mondo a livello industriale in un carrozzone pieno di approfittatori? Probabilmente qualcuno penserà siano stati gli extracomunitari.

    Io cerco sempre di pensare positivo, ma ultimamente è molto molto difficile…

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