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Tutti rumeni? Il lavoro dei “tempi moderni”.

tempi moderniRiprende il lavoro dopo la pausa natalizia, ma non per tutti è così.

Leggiamo i dati del mercato del lavoro della nostra provincia.

Lecco: in un anno persi 1500 posti di lavoro in Provincia, il tasso di disoccupazione al 4.5%.

Oltre 1.500 posti di lavoro persi, il fenomeno della cassa integrazione aumentato a dismisura, un tasso di disoccupazione salito al 4,5%. Sono alcuni dei numeri dell’impatto della crisi economica nella nostra provincia, colpita duramente tra il giugno 2008 e il giugno 2009 da un fenomeno che, ancora oggi, influenza la vita di molti cittadini.

I dati relativi al mondo del lavoro in provincia di Lecco sono stati presentati nel pomeriggio di venerdì 10 dicembre in occasione del convegno “Il lavoro a Lecco: come ripartire”, organizzato dal “Polo di Eccellenza per la gestione del mercato del lavoro e delle risorse umane”. È stato presentato il rapporto “Occupazione e Mercato del Lavoro in provincia di Lecco” curato dall’Osservatorio Provinciale del Mercato del Lavoro, esito del primo anno di attività. Il rapporto focalizza le dinamiche del nostro territorio nel biennio 2009-2010 e contiene anche le serie storiche degli ultimi anni.

L’analisi mostra come, dal settembre 2008, la crisi abbia influito sui dati occupazionali della nostra provincia, annullando i risultati positivi fatti registrare in precedenza. In particolare:

• tra giugno 2008 e giugno 2009 l’industria manifatturiera ha perso oltre 1.600 posti di lavoro dipendente;

• il numero delle nuove imprese iscritte al Registro camerale, superiore alle 1.000 unità nei primi sei mesi del 2008, scende a 770 nella seconda metà dell’anno (-23%), e a 670 nella seconda metà del 2009;

• il flusso degli avviamenti nel 1° semestre 2009 registra una caduta del 44% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente;

• nello stesso periodo, la cassa integrazione ordinaria aumenta di 18 volte e quella straordinaria di 3 volte (la scelta delle imprese lecchesi è stata quella di mantenere le professionalità presenti in azienda);

• i lavoratori inseriti nelle liste di mobilità sono saliti da 350 nel 2° semestre 2008 a 850 nel semestre successivo (+140%);

• il numero di persone in cerca di occupazione nel 2009 cresce fino a superare le 7.000 unità, a fronte di 5.000 nell’anno precedente;

• i fabbisogni occupazionali a Lecco nel biennio 2009-2010 sono calati di circa il 20% rispetto ai due anni precedenti (da circa 4.300 unità annue a 3.500).

Discutiamo di questi dati in redazione e lo scambio di idee si sposta sulla necessità del lavoro e a come, pur di lavorare, si accetta qualunque condizione e qualunque contratto.

La flessibilità introdotta in questi ultimi anni ha già causato la precarietà che, soprattutto i giovani stanno vivendo.

Contratti a tempo determinato (se va bene), oppure stage non pagati, addirittura senza rimborso spese.

Ma questa situazione quanto può durare? Finchè ci sono i genitori che ti sostengono, certo, ma se poi sono gli stessi genitori a perdere il lavoro?

E comunque quale prospettiva di formarsi una vita autonoma hanno questi ragazzi?

E a proposito di accettare qualunque contratto viene in mente l’attualità dell’accordo FIAT di Mirafiori e, io sostengo, che questa non è la soluzione al problema dell’occupazione.

L’accordo, di fatto, apre allo smantellamento del contratto nazionale, alla negazione della democrazia sindacale, alla concorrenza al ribasso sulle condizioni del lavoro.

La Fiat impone in fabbrica e nel sistema delle relazioni industriali italiane un modello aziendalista e neocorporativo, che costituisce un contratto unico nazionale per le aziende del settore auto della Fiat alternativo ai contratti nazionali di lavoro, e che peggiora le condizioni di lavoro, a partire dall’introduzione del modello Pomigliano anche a Mirafiori.

Con questo accordo, non c’è spazio per sindacati dissenzienti. Si pratica uno strappo costituzionale gravissimo perché si limita la libera scelta di associazione sindacale. Viene infatti introdotto il criterio secondo il quale chi non firma gli accordi non può usufruire dei diritti sindacali indipendentemente dalla sua rappresentatività e consenso tra i lavoratori. Si limitano (cancellano?) le Rsu e quindi la possibilità per i lavoratori di scegliere i propri delegati.

L’accordo prevede 120 ore di straordinario all’anno obbligatorie, cancella le pause previste sulle linee di montaggio, porta a fine turno la pausa mensa, per utilizzare così la mezz’ora di mensa anche con straordinari per recuperi produttivi ogni qualvolta l’azienda ne avrà bisogno.

Non si garantisce la copertura economica dei primi giorni di malattia a carico aziendale e si dà maggiore possibilità alla Fiat di sanzionare i lavoratori malati.

Si aumenta lo sfruttamento dei lavoratori abolendo pause di lavoro e aumentando i carichi di lavoro con il taglio dei tempi, senza nessuna misura contro gli infortuni sul lavoro.

Lo aveva già immaginato nel 1936 Charlie Chaplin, nel suo famoso film “Tempi moderni”.

I gesti ripetitivi, i ritmi disumani e spersonalizzanti della catena di montaggio minano la ragione del povero Charlot, operaio meccanico. La pausa pranzo potrebbe concedere un momento di riposo, se non che Charlot viene prescelto quale operaio tipo su cui sperimentare la macchina automatica da alimentazione, che dovrebbe consentire di mangiare senza interrompere il lavoro (aspetto che in una visione scientifica del lavoro produrrebbe vantaggio competitivo). L’esperimento però gli causa parecchi danni dato che il diabolico marchingegno non funziona molto bene.

Con questi accordi si sancisce la fine della contrattazione nazionale e si creano le condizioni per la loro sostituzione, al ribasso, dei contratti aziendali, abbandonando di fatto milioni di lavoratori di piccole e medie aziende.

Passo dopo passo, non restera’ nessuna garanzia contrattuale per milioni di lavoratori.

Se la logica è “pur di lavorare si accetta tutto”, pensiamo che il futuro prossimo può diventare  che le condizioni salariali saranno talmente basse  da equipararci, se non a cinesi e indiani, a rumeni e polacchi.

Ma rumeni e polacchi nei loro paesi non hanno lo standard economico come il nostro, i prezzi di alimentari, abbigliamento, casa ecc, sono ben diversi.

E senza soldi come si può far girare l’economia? Il rischio è quello della recessione.

O vogliamo diventare tutti rumeni?

Sarebbe interessante conoscere dai lettori di UPper quali sono le condizioni di lavoro che vivono o le situazioni problematiche che conoscono. Ce lo facciano sapere con i loro commenti a questo articolo.

11 pensieri su “Tutti rumeni? Il lavoro dei “tempi moderni”.”

  1. L’Italia è una Repubblica fondata sulla “ merce-lavoro”.

    Nel vedere in televisione gli operai e le operaie di Torino scannarsi tra loro per salvare i conti di Marchionne ( chi piange, chi impreca, chi rassegnato maledice la propria condizione di ingranaggio, chi tenta di reagire ) si ha un senso di grande solitudine. Si vedono dei singoli senza una classe di appartenenza, un partito di rappresentanza, una società solidale tra i vincenti e i perdenti della globalizzazione. Ognuno di loro sembra cercare una risposta individuale ad una questione collettiva: sopravvivere alle ragioni della produzione e del mercato cedendo la propria merce-lavoro in cambio del posto. Via i diritti in cambio di un investimento che richiede il controllo globale della produzione. La risposta al referendum è in realtà una sola, perché il no equivale alla perdita del posto di lavoro per sé e per gli altri.
    Questo è un problema di democrazia sostanziale, di libertà. Nello schema previsto dalla Fiat il rapporto tra capitale e lavoro si semplifica, si richiude in fabbrica e perde ogni valenza simbolica e politica. Senza i diritti il lavoro torna ad essere semplice prestazione di merce. Mentre con i diritti il lavoro è dignità ed emancipazione, concetti più larghi del solo indispensabile salario. Con i diritti il lavoro da senso alla Costituzione che lo pone a fondamento della Repubblica: senza libertà materiale non esiste libertà politica.
    In questo contesto impressiona l’incultura gregaria della sinistra che non sa distinguere tra modernità e conservazione quasi che innovare sia cedere al pensiero dominante, perché non ha una idea propria del lavoro oggi, delle nuove disuguaglianze, del legame che deve esistere tra modernizzazione, partecipazione e solidarietà. Oggi fare innovazione e progresso è difendere i valori della società del lavoro: legare insieme economia di mercato, stato sociale, e democrazia del lavoro che è la democrazia quotidiana che viviamo ogni giorno.

  2. Oggi ai lavoratori della Fiat si chiede di rinunciare a diritti indisponibili (sciopero, malattia, rappresentanza) per poter continuare a lavorare… poi toccherà a tutti gli altri lavoratori.
    Diventeremo tutti schiavi (schiavi moderni).

  3. In questi mesi mi sembra in qualche maniera di vivere le questioni sociali degli anni 70 che finora ho potuto solo leggere nei libri o vedere in qualche film.
    Abbiamo vissuto fino a qualche settimana fa la protesta degli studenti, ora ci troviamo di fronte a questo tentativo di distruggere i diritti che i lavoratori sono riusciti a conquistare proprio in quegli anni.
    Lo scopo del sistema di potere Italia è chiaro: spolpare qualunque cosa in cambio del profitto e del potere, distruggendo sogni, ambizioni e una possibilità di vita decente a milioni di persone.
    E’ veramente desolante questo spettacolo e mi chiedo fino a quando si potrà andare avanti in questa maniera.
    Il nostro Marchionne si permette anche dichiarazioni di questo tipo: “Se insulto significa introdurre un nuovo modello di lavoro in Italia, mi assumo le mie responsabilità. Ma non si può confondere questo con un insulto all’Italia: anzi, le vogliamo più bene noi cercando di cambiarla. Il vero affetto è cercare di far crescere le persone e di farle crescere bene. Stiamo cercando di farlo nel nostro mondo, a livello industriale, e ciò non va confuso con un insulto”. Certo, con uno stipendio di 38,8 milioni l’anno (http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/01/12/lo-stipendio-doro-di-marchionne/86015/) è facile crescere. In un paese veramente democratico governo, opposizione, sindacati e stampa constringerebbero Marchionne ad andare si in Canada, ma per restarci e non farsi più vedere! Probabilmente la differenza con gli anni 70 sta proprio qui; non esiste più una lotta, ma tutto il potere è allineato dietro confindustria e le sue mangerie. Lo dimostra Renzi (il nuovo che avanza) quando afferma “tutta la vita con porta lavoro”.
    Italia mia, si stava meglio quando si stava peggio.

  4. Colpisce soprattutto l’arroganza e la finta superficialità di chi come il Sig. Marchionne dice che i tempi sono cambiati e chiede sacrifici a tutti, ma lui ? che sacrifici fa ? rinuncia anche solo a un euro del suo stipendio milionario ? ma una coscienza ce l’ha ?
    E tutti intorno a dire che putroppo è colpa della crisi o della Cina .. oppure a non dire niente (vedi PD o la stessa Chiesa!!)Ma vogliamo dirlo che la Cina è diventata quello che è anche perchè molte industrie, anche italiane hanno investito lì ? magari dopo aver preso sovvenzioni dallo stato italiano! In Cina (e nei paesi emergenti) gli stipendi sono bassi e i lavoratori non hanno alcun diritto sindacale e la comunità internazionale avrebbe dovuto innanzitutto chiedere che i diritti aquisiti dopo anni di lotta nei paesi cosidetti civili fossero garantiti anche ai lavoratori cinesi, ma quando i potenti guadagnano sono propensi a passare sopra certe quisquille .. e allora perchè non fare il percoso contrario ? portiamo quì la realtà cinese così guadagnamo 2 volte !! geniale !!
    ch bello avere il coltello dalla parte del manico…

  5. Toh, chi si rivede: gli operai. Sergio col suo articolo ha messo in scena i protagonisti dimenticati di un secolo e mezzo di storia mondiale.
    Sì, perché degli operai si parla malvolentieri (a dire la verità anche dei lavoratori in genere si parla poco), anzi, ti viene il dubbio che esistano ancora, visto che non hanno parte nei talk televisivi, nei rotocalchi e poco in pochi notiziari. D’altra parte non c’è visibilità per chi non ha glamour e non sfoggia almeno due o tre cazzate al minuto.
    Invece queste persone in carne ed ossa abitano con noi e sono disperate. Disperate perché non viene data loro la possibilità di fare la cosa a cui tengo più di tutto: lavorare. Oppure, se proprio non vogliono fare a meno di lavorare debbono saper pure rinunciare a qualche cosa, diamine! Rinunciare ad avere dignità, a non pretendere di avere la sicurezza nei luoghi di lavoro e nella malattia, aborrire ogni forma di protesta (sciopero), non poter eleggere i propri rappresentati, lavorare di più e prendere meno soldi.
    Il monito che viene loro rivolto da chi sta impacchettando gli impianti per trasferirli in Polonia è: – O abbassate la testa, o qui non faccio investimenti e porto tutto in Polonia.
    D’istinto ti viene: – Guardi, vada in Polonia ma lasci qui le macchine e i soldi che le abbiamo fatto guadagnare.
    Potrebbe essere una soluzione per contrastare un’epidemia perniciosa. Converrete con me che i cattivi esempi si riproducono alla velocità della luce.
    So di un imprenditore cremonese che in questi giorni ha convocato la RSU e ha loro spiegato il nuovo piano industriale: – Qui, nessuno è fesso più di Marchionne. D’ora in poi niente contratto nazionale, nessun incentivo ai precari e vi annuncio che bisogna ridurre il costo del lavoro (o meglio, dei lavoratori), altrimenti trasferisco tutto in Polonia.
    Qualche lavoratore ancora occupato a milletrecento euro al mese, quasi sicuramente, tra Natale e Capodanno avrà stappato in famiglia una bottiglia di champagne, sarà andato alla Messa di mezzanotte con una calda sciarpa di cachemire al collo e si sarà goduto il riposo sonnecchiando davanti a un 40 pollici LCD.
    Mentre quel povero cristo del dott. Marchionne, che nel 2011 si porterà a casa 100 milioni di euro solo in stock options, anche con questo freddo continua a girare senza una giacca.
    Dio, dove sei?

  6. Sì ai diritti, No ai ricatti. La società civile con la Fiom.

    C’è, in rete, un link per firmare l’appello di Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais e Margherita Hack che mettono in guardia gli italiani sulla vicenda Fiat.
    Secondo i firmatari, con questo accordi che Marchionne sta cercando di imporre, si gioca una partita cruciale per la difesa dei più elementari e intrattabili diritti e libertà costituzionali.

    Tra i primi firmatari dell’appello personalità come: don Andrea Gallo, Antonio Tabucchi, Dario Fo, Gino Strada, Franca Rame, Fiorella Mannoia, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Sergio Staino, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Marco Revelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Carlotto, Valerio Magrelli, Valeria Parrella, Sandrone Dazieri, Lidia Ravera, Alberto Asor Rosa, don Paolo Farinella.

    Ecco il link
    http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391202

  7. In questi momenti difficili, con la crisi mondiale per lo sviluppo, i poteri forti del padronato come sempre, cercano di imporre con forza senza scrupoli il loro potere,sfruttando, come sempre hanno fatto ,il bisogno, l’importanza di lavorare, unico reddito per vivere degnamente e programmare un futuro per la propria famiglia. Queste condizioni esasperate ma di fondamentale importanza, diversa per ogni lavoratore, non fa altro che dividere i lavoratori,isolarli per diminuire o anullare come in questo caso il potere contrattuale dignitoso. Infatti questa votazione non fa altro che dividere. Questo è il modo di far pagare ai sempre più deboli le mancanze progettuali di sviluppo industriale. Chiudo malinconicamente perchè questa situazione toglie di fatto ogni possibilità di contrattazione fra le parti come cinquant’anni fa. Vorrei che le forze politiche tutte che ci rappresentano, i Sindacati, insieme, organizzano tre giorni di dibattito continuo costruttivo come un evento straordinario di importanza nazionale, perchè quello che stà avvenendo ci riguarda tutti. non lasciamo soli e isolati i lavoratori tutti, qualunque siano le loro idee politiche ma non togliere mai la dignità che ogni uomo desidera non sia calpestata,con la speranza di un mondo migliore.

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