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Don Claudio Visconti fa riflettere su “L’altro…. nei profughi”

DSCN2258Anche quest’anno Don Giuseppe Turani, parroco di Monte Marenzo, ha voluto dare un’impronta decisa alla Festa Missionaria che si sta svolgendo in questi giorni (qui il programma https://www.unpaeseperstarbene.it/2015/festa-missionaria-2015-chi-e-laltro/  ). Il tema scelto col Gruppo Missionario è “Chi è l’altro”. Pensiamo sia importante conoscere e riflettere su chi è l’altro perché la tolleranza e lo scambio reciproco di opinioni e culture eviti incomprensioni e conflitti.

Ed è Don Giuseppe a introdurre il primo incontro-testimonianza che era in programma ieri sera in Chiesa, presentando don Claudio Visconti, Presidente della Caritas Diocesana di Bergamo.

DSCN2262wCon Don Claudio si è cercato di affrontare uno degli aspetti più sentiti degli ultimi tempi “L’altro…. nei profughi” (c’è ancora l’eco delle polemiche sull’accoglienza profughi vicino a noi, a Celana, che pare non ci sarà).

Don Claudio ha la parlata con una spiccata cadenza delle valli bergamasche. Le battute le fa addirittura in dialetto e la parola “pota” è il tipico intercalare per sottolineare di volta in volta un concetto astruso o l’evidenza dei fatti. Ecco, i fatti. Al di là delle cose che si dicono per propaganda per apparire in televisione da parte di molti politici, i fatti raccontano una realtà un po’ diversa da quella dipinta dai media.

I fatti dicono (e Don Claudio ogni tanto snocciola qualche dato, buttandolo lì, come per dire: “vedete? Questi sono i numeri, questa è la realtà oggettiva”), che la maggior parte dei profughi a Bergamo (e in Italia) hanno due volti: quelli che fuggono da guerre in corso e quelli che fuggono dalla fame e dalla povertà e che il loro numero, rispetto al decennio 2000-2010 è drasticamente calato. A Bergamo in quel periodo si registrano 144.000 profughi, circa 12.000 all’anno, mentre nel 2014 i profughi sono 1.100: un decimo (più o meno) rispetto al flusso migratorio che negli anni scorsi veniva dall’est europeo non coi barconi ma dall’aeroporto di Orio al Serio! Il tutto senza il clamore di questi ultimi mesi.

Nella stessa proporzione è il dato italiano nello stesso periodo. Oggi le cose sono cambiate. I profughi hanno due volti: approdano tutti in Italia per lo più sulle coste siciliane. I primi arrivano da zone di guerra (Siriani ed Eritrei). Sono prevalentemente famiglie con bambini che hanno l’Italia solo come primo punto di arrivo: nessuno di loro è intenzionato a fermarsi. Sono persone che hanno già contatti in Europa e per loro le coste italiane sono solo un approdo di passaggio per raggiungere la Svezia, la Norvegia, la Germania, Paesi dove le procedure per la concessione dello status di rifugiato hanno un iter più snello del nostro. A queste persone non interessa essere riconosciute e inserite nei progetti di assistenza perché se ne vanno subito.

Poi c’è il secondo gruppo di migranti, che è il più consistente ed è costituito da uomini di 18-20 anni dell’Africa SubSahariana. Anch’essi chiedono asilo, ma probabilmente non lo avranno mai. Sono persone molto povere, senza alcuna professionalità, spessissimo non parlano altra lingua se non il loro dialetto e non hanno agganci in Europa. Sono loro il grosso nodo da sciogliere in termini di progettualità, afferma don Claudio, perché non si può sapere quale futuro potranno avere queste persone.

Come facevamo noi italiani nel secolo scorso, intere famiglie e comunità si indebitano per pagare loro il viaggio che viene fatto da criminali senza scrupoli. Una volta qui in Italia, dopo aver attraversato il deserto ed il Mediterraneo e rischiato la vita (Don Claudio racconta di aver visto i filmati dei cadaveri disseminati nel deserto che gli hanno mostrato alcuni profughi ospiti alla Caritas di Bergamo), non intendono certo tornare indietro quando non avranno ottenuto lo status di rifugiati e diverranno “clandestini”. Anzi, i pochi euro che riescono ad avere durante il loro soggiorno in Italia (2,50 euro al giorno, 75 euro al mese, non le centinaia di euro al giorno di cui si favoleggia) e che questi ragazzi risparmiano meticolosamente, vengono inviati nei paesi d’origine ad alimentare altre speranze a chi è rimasto.

Ogni progetto di accoglienza si costruisce dopo aver aderito al bando della Prefettura. Lo Stato finanzia una diaria di 35 euro al giorno, cifra nella quale bisogna far stare ogni voce di costo: l’accoglienza, il vitto, l’alloggio, i vestiti, lo stipendio degli educatori, le medicine e le visite mediche, i corsi di italiano. Basterebbe ridurre drasticamente i tempi di riconoscimento di status per non far esborsare allo Stato cifre assurde che potrebbero essere impiegate per progetti diversi di accoglienza o di lavoro. E c’è anche l’immorale evidenza (vedi lo scandalo di Mafia Capitale) che questi soldi vengono intercettati dalla criminalità, da affaristi e politici senza scrupoli.

La Diocesi di Bergamo ha deciso in questi anni di aderire ai progetti di accoglienza. Non tutte le Diocesi d’Italia l’hanno fatto e questo già pone un interrogativo che viene spiegato da Don Claudio dalle dinamiche molto diverse sul territorio italiano, sia in termini di numeri di profughi presenti in questa o quella Regione, sia in sensibilità differenti.

Don Claudio non riesce a concepire l’inattività i questi giovani, l’ozio è sempre negativo. Così ha avuto l’idea di avviare un protocollo per attività di volontariato, d’accordo con la prefettura, per far sì che i rifugiati si adoperino in attività di volontariato. In 500 nella bergamasca hanno accettato di fare pulizia delle strade e dei giardini e attività in parrocchia. All’inizio non è stato facile, soprattutto perché il concetto di volontariato è estraneo alla loro cultura. Si è dovuto spiegare loro che è soprattutto un modo per ricambiare l’ospitalità che ricevono.

Ma il nodo principale è il che fare. Come porsi rispetto a questi flussi che non potranno essere fermati con politiche miopi ma che devono essere affrontati globalmente, mettendo in discussione il modello di sviluppo dell’occidente e dei paesi poveri, con l’imperativo di far smettere i conflitti.

I temi toccati da Don Claudio hanno suscitato interesse, perplessità, anche giudizi e opinioni differenti tra le persone sedute in Chiesa ieri sera, non molte a dire il vero, ma tutte estremamente interessate e coinvolte, tanto che il dibattito è proseguito anche dopo la conclusione di Don Giuseppe, sul sagrato della chiesa, ancora a discutere, a chiedere, a capire…

Pensiamo sia stata una serata proficua e ringraziamo Don Claudio per la disponibilità e Don Giuseppe che ha ricordato che la prossima occasione di incontro sarà Lunedì 15 giugno con Carlotta Testoni, ore 20,45, in chiesa con un altro tema interessante: “L’altro…. nell’Islam”.

2 pensieri su “Don Claudio Visconti fa riflettere su “L’altro…. nei profughi””

  1. Don Claudio è un operatore di pace e aiuto gratuito verso i migranti da oltre vent’anni. I suoi meriti sono tanti, come è merito di don Giuseppe averlo fatto incontrare con la nostra comunità (comunità in senso lato, non solo parrocchiale, anche se l’incontro si è tenuto sotto la navata della chiesa).
    Il tema della serata era il volto dell’altro e quindi non si è riusciti ad affrontare l’altra grande questione che attiene ai processi migratori: il ruolo fondamentale della politica.
    Lo so che solo pronunciare questa parola a molti vengono le convulsioni, però è bene mettersi sereni e convenire che proprio l’assenza della “politica” è una delle cause ostative ad avviare qualche soluzione etica e civile di questo fenomeno epocale.
    Non mi riferisco alla politica della chiacchiera da talkshow, o delle esternazioni elettorali. No, mi riferisco ad una riflessione sulle relazioni nazioni ricche/popolazioni poverissime, a piani internazionali tra parti del mondo fondati sulla cooperazione, la cessazione delle nuove schiavitù e delle rapine ambientali, lo scambio alla pari di beni fondamentali e di diritti.
    Insomma, mi avete capito: ebbene tutto questo è “politica”.
    Peccato che chi su questo argomento ha idee contrapposte, che non perde occasione di vantarle a gran voce, non abbia colto l’altra sera l’occasione per confrontarsi.

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