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L’ex Carcere di Sant’Agata e i progetti culturali per la sua scoperta

Qualche giorno fa, sulla pagina FB dell’amico Paolo Valsecchi, trovo una piccola riflessione e qualche foto su una sua visita al l’ex Carcere di Sant’Agata a Bergamo e gli strappo la promessa di fare una riflessione per il nostro sito.

Paolo ce la invia e noi lo ringraziamo perché scopriamo un po’ di storia e una nuova realtà culturale da seguire.

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Nel cuore di Bergamo, al centro di Città Alta si trova l’ex Carcere di Sant’Agata. È un luogo poco conosciuto, una pagina di un passato duro ma molto più recente di quello che un ragazzo “under 30” come me possa credere.

Le grate in ferro, le scritte alle pareti lasciate dai detenuti, i locali, i minuscoli bagni “a vista”: tutto è rimasto com’era.
Attraversare i corridoi e le scalinate della prigione è un’esperienza straniante, a tratti angosciante.
Esplorando i locali della prigione, ci si dimentica di trovarsi in Città Alta, si scordano i turisti, le comitive e i bar. È un luogo sospeso nel tempo, con una lunga ed intensissima storia sulle spalle ma anche con tanta voglia di “reinventarsi” per il futuro. Dopo decenni di abbandono è diventato un luogo di arte, incontro e comunità.

L’ho visitato nei giorni scorsi e, raccogliendo l’invito di Sergio, provo a condividere con gli amici di Upper qualche informazione e qualche riflessione.

La storia

Prima di essere una prigione, l’ex carcere era un convento dei monaci Teatini che lo utilizzarono fino alla fine del ‘700: in quella che era la sala capitolare sono ancora visibili gli affreschi che rappresentano alcuni Santi.
Colpisce davvero la contrapposizione tra queste figure religiose molto curate che lasciano intravedere l’attenzione e la “mano” dell’artista che le ha realizzate, con i segni, le incisioni le scritte lasciate invece dai carcerati.

Il convento viene trasformato in carcere ad inizio dell’800. Bergamo, in epoca di riforme napoleoniche, aveva bisogno di una nuova prigione e l’idea trovata all’epoca fu molto semplice: trasformare le celle dei monaci in celle per detenuti.

Il carcere ha ospitato sia uomini (fino ad un massimo di circa 200) che donne (circa una decina, in media).
La struttura è molto grande, quasi labirintica, organizzata su più ali e piani. La visita serale ha trasmesso tutta la durezza della vita carceraria: le celle ospitavano 6 o 12 carcerati, che condividevano un solo bagno. La privacy semplicemente non esisteva: erano continuamente osservati e osservabili dalle guardie carcerarie.
Non mancavano attività di svago (c’era una sala cinema ed il campo di pallavolo) e di lavoro in officina.

Il carcere è rimasto in funzione fino al 1978: nel 1972 vi fu anche una clamorosa rivolta dei detenuti che chiedevano migliori condizioni di vita.

Il carcere oggi e alcune considerazioni.

Oggi all’interno di un’ala del carcere si trova il “Circolino” (locale famoso per i casoncelli e i piatti tipici a prezzi abbordabili). Gran parte dell’edificio è rimasto invece praticamente inutilizzato per quasi 40 anni ed ora è stato riaperto grazie all’associazione Maite che ha avviato un interessantissimo progetto di recupero e rinascita, basato su di una grande scommessa: trasformare quello che era un luogo di reclusione in un luogo di incontro e socializzazione.

Pietro, il giovane presidente di Maite, ci ha spiegato che Città Alta – a dispetto di quello che si possa pensare – è un quartiere con pochi servizi “di comunità”: il turismo la fa da padrone, Ryanair porta ogni anno sempre più turisti all’interno delle mura venete, con il rischio che il centro storico si trasformi in una sorta di grande vetrina per tedeschi, inglesi e francesi.

Lo slancio e l’entusiasmo è davvero tanto: settimana scorsa, ad esempio, il carcere ospitava 10 ragazzi provenienti da altrettante diverse nazioni arrivati a Bergamo per confrontarsi sulle tematiche del paesaggio e dell’ambiente.

Riprendo alcune considerazioni lanciate da Pietro:

  • Il carcere, sembra paradossale, era un luogo meno chiuso di quello che si potesse pensare. I cittadini potevano partecipare alla messa nella cappella della prigione insieme ai detenuti, venivano organizzati tornei di pallavolo tra carcerati e studenti di un vicino liceo. I detenuti inoltre potevano contare sull’aiuto di alcune suore che portavano loro messaggi, cartoline e piccoli generi di conforto.
  • Il carcere di Sant’Agata, costruito oltre 200 anni fa, non è in fondo troppo diverso dalle carceri di oggi: le celle odierne hanno qualche confort in più ma – assicura Pietro – dimensioni, spazi e strutture non hanno subito particolari evoluzioni. Proprio partendo da questa considerazione, Maite ha avviato un percorso di riflessione sulla realtà carceraria attuale coinvolgendo giuristi, avvocati e l’Università di Bergamo.

Se volete approfondire la storia del carcere di Sant’Agata e conoscere qualcosa di più dei progetti che si stanno realizzando al suo interno vi consiglio di visitare http://maite.it/ e http://www.maite.it/exsa/

 

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