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La chiave è nella parola “indifferenza”

Che i disperati della Terra tentino di approdare in Italia e in Europa,  o altro luogo che dia loro una benché minima speranza di vita, è perfettamente legittimo. Invece, non è possibile considerare normale l’indifferenza con la quale guardiamo soffrire e morire di violenza una moltitudine di persone private di tutto.

E’ inaccettabile soprattutto da noi italiani ed europei, che per secoli siamo stati i massimi esportatori di migranti. Noi che non abbiamo mai rispettato alcuna frontiera, né i popoli ai quali abbiamo occupato la casa: sterminati i nativi delle Americhe e dell’Australia, ridotto in schiavitù le nazioni africane, colonizzato l’India sulla punta delle baionette, e via elencando.

Quello che più sconvolge, ora, non è solo l’ubriacatura di potere e malvagità dei nostri governanti, ma l’indifferenza di troppi di fronte alle atrocità inflitte sulla pelle e nella dignità di tanti poveri cristi. E’ il non sentire sulla nostra coscienza lo scandalo di girarci dall’altra parte mentre Mariama, Amadou, Alaba, Oluwo, scivolano in fondo al mare, o torturati nei centri di detenzione, o disumanizzati e schiavizzati nella raccolta dei nostri ortaggi.

Il male va combattuto e battuto.

Le donne e gli uomini del nostro Paese che non intendono voltarsi dall’altra parte sono tanti. Devono solo trovare il coraggio di non cedere al conformismo della paura e dell’egoismo, sentire forte il dovere di schierarsi, di lavorare affinché la maggioranza delle persone vadano fiere della propria umanità: sempre e nei confronti di chiunque.

Dobbiamo imbracciare le armi della democrazia e della cultura, e con quelle sparare a raffica contro i tentativi di regime e contro la menzogna quotidiana. Ognuno prenda in mano i ferri del proprio mestiere e cominci a costruire, perché molto c’è da fare. Per esempio mettere in piedi un sistema che distribuisca equamente le ricchezze del pianeta e  promuova istituzioni e  relazioni capaci di garantire la coesistenza tra diversi e le libertà individuali.

Certo, con modalità diverse dal passato, perché quel mondo lì, quello che abbiamo vissuto dal Secondo dopoguerra ad oggi, è irripetibile.

Compito difficile? Sì, compito difficilissimo, ma necessario e affascinante.

Foto di Sebastião Salgado, dal documentario The Salt of the Earth di Wim Wenders

 

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