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Monte Marenzo e le voci del 25 Aprile

Aida e Marzia escono al sole, si siedono sui gradini di fronte al Municipio.

Marzia ed Aida fanno la scuola Primaria. Marzia inizia a parlare al microfono, Aida le risponde. Parlano del gioco della guerra…

Poi è Virginia a presentarsi al microfono. Anche lei dice una cosa sulla guerra e dell’importanza di ricordare…

Simone invece legge poche righe ma dense di significato: è un brano di Beppe Fenoglio.

 

A Monte Marenzo prima del discorso ufficiale del Sindaco sono state queste voci a ricordare che oggi, il 25 Aprile, è una data che dobbiamo ricordare perché se siamo liberi oggi, lo dobbiamo a chi, 73 anni fa, ha combattuto per ottenere questa libertà.

Il Tavolo della Associazioni di Monte Marenzo ha deciso che queste parole fossero dette da qualche bambino, da una adolescente e da un giovane. Ed il messaggio, crediamo, è arrivato a tutte le persone (tante davvero) che hanno partecipato alla Cerimonia del 25 Aprile.

Il Gruppo Alpini, come sempre, ha presenziato ai momenti ufficiali: l’alzabandiera ed il Silenzio per i Caduti. Don Giuseppe non ha mancato di dare la benedizione e dire alcune parole sulla Pace e il Sindaco, Paola Colombo, ha tenuto il discorso ufficiale concludendolo ricordando la figura di Elio Bonanomi che per tanti anni ha scandito il cerimoniale del 25 Aprile.

La mattinata è iniziata con i bambini nuovi nati del 2017, accompagnati dai loro genitori e nonni a ritirare l’albero della vita offerto dall’Amministrazione comunale. Una bella tradizione che si rinnova da ben 26 anni.

Dopo l’aperitivo offerto dall’Amministrazione, in molti hanno aderito all’invito degli Alpini del pranzo del 25 Aprile al Parco Penne Nere.

Ma vorremmo che chi non c’era possa leggere quello che hanno detto Aida, Marzia e Virginia:

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Marzia

L’altro giorno eravamo fuori a giocare.

I maschi hanno preso dei pezzi di legno e hanno cominciato a giocare alla guerra.

Aida

Di solito cominciano loro. Ma a me non piace fare quel gioco e siamo state a guardare.

Marzia

Con i legni piccoli facevano finta di avere delle pistole. Quelli lunghi invece erano fucili o mitra. Gettavano anche dei sassi, piccoli però, e quelle erano le bombe.

Facevano rumore con la bocca per imitare gli spari.

Aida

Ogni tanto qualcuno cadeva perché era stato colpito.

Io mi spavento sempre, anche se so che lo fanno per finta.

Per fortuna dopo un po’ si rialzano.

Marzia

Ci hanno detto: “Venite a giocare?”

Ma noi abbiamo detto no. Preferiamo giocare a nascondino, o alla palla, o a rincorrerci e dire “Ce l’hai”.

Aida

Abbiamo detto no perché non ci piace giocare alla guerra.

Le guerre non si devono fare neanche per gioco.

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Virginia

Io e i miei amici abbiamo videogames dove si gioca alla guerra, si chiamano “sparatutto”. Si scelgono le armi e si combatte.

I nemici quando li colpisci cadono e tutto sembra così reale, lì, in quel momento.

Così si passa un po’ il tempo e poi si spegne la console.

Ed è solo un gioco, dopo un’oretta basta, si torna a studiare.

Al telegiornale si parla delle armi chimiche in Siria e dei bombardamenti degli americani.

Lì non è un gioco.

Per noi, “Qui”, lo schermo è lo stesso, ma il “Lì” esiste, così come ciò che vediamo: tanti morti e feriti. Anche bambini.

I nostri nonni, i libri di scuola, raccontano di quando il Lì era Qui, in Italia.

Quando, vestiti in camicia nera, si andava tutti in piazza a fare il saluto romano. Ci raccontano che non c’era la libertà che c’è ora.

Qualcuno dice che fosse meglio allora: quando si soffriva la fame e si andava a combattere. Io non credo proprio che la vita fosse migliore.

Ma non se ne parla più, perché parlare di cose brutte? Torniamo ai nostri videogiochi.

E chi ricorderà a chi dobbiamo la libertà? Chi ha combattuto e chi è morto per conquistarla? Chi ci ricorderà la differenza tra la bellezza del sentire al mattino il cinguettio degli uccellini invece che il rumore degli spari?

Quando i vecchi vedono il telegiornale e dicono: “La guerra è brutta ragazzi. Speriamo non ne vengano più!”, alziamo la testa, diciamo “Sì, nonni, speriamo” e poi speriamo, speriamo davvero, e soprattutto: Ricordiamo.

 

La galleria fotografica è a cura di Adriano Barachetti.

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