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Le strade pulite non sono al primo posto

Carlo Limonta, qualche settimana fa, ci ha segnalato la scomparsa, a soli 42 anni, di una promettente regista, Valentina Pedicini, che si è fatta conoscere per il suo eccellente lavoro in ambito documentaristico.

Su RaiPlay potete trovare l’unico suo lungometraggio: “Dove cadono le ombre”.

Non racconterò assolutamente nulla del film qui. Guardatelo e credo che condividerete con me che il cinema italiano ha perso troppo presto un vero talento.

Quello che scrivo qui sotto è invece una riflessione e una denuncia su una vicenda che fa da sfondo alla storia narrata nel film che è ambientato in Svizzera ed ispirato all’opera della scrittrice e poeta Mariella Mehr di etnia Jenisch.

Si dice la “civile” Svizzera. Sì, tutti dicono così. Ci si ferma alla superficie pulita delle sue strade. Non una carta per terra, il traffico ordinato… Per non parlare della precisione degli svizzeri, precisi come orologi. Orologi svizzeri, appunto.

Poi ti sorprendi quando scopri che In Europa uno degli ultimi paesi a concedere il diritto di voto alle donne fu la Svizzera nel 1971. Sì, avete letto bene: nel 1971.

Ed è accaduto anche di peggio… Una storia che conoscevo e che il film mi ha fatto ricordare.

Gli orrori dello sterminio genetico non si sono estinti in Germania con Hitler, ma sono stati perpetrati per parecchio tempo anche dopo di lui e, per giunta, in una zona franca, tranquilla e insospettabile come la Confederazione Elvetica.

Tra le tante malefatte del ‘900, tra i troppi genocidi, quello dei nomadi jenisch è probabilmente il meno conosciuto. Eppure si è consumato ad un passo da noi. Nel silenzio. Sarà anche perché gli svizzeri sono abituati a fare le cose con estrema discrezione, senza esibizioni di crudeltà, semmai con scientifico, asettico, decoro.

Nella civile e ordinata Svizzera dal 1926 al 1975 si è attuato il programma di eugenetica “Pro Juventute” nei confronti dell’etnia Jenisch, popolazione nomade di origine celtica e zingari come i Rom e i Sinti, che ha portato a sottrarre con la forza più di duemila bambini alle famiglie per rinchiuderli in centri e sottoporli a “rieducazione” attraverso pratiche mediche e psichiatriche, arrivando a elettroshock, coma insulinico e sterilizzazione, sia delle femmine sia dei maschi che erano ritenuti “idioti”.

L’associazione filantropica “Pro Juventute”, attiva in Svizzera dal 1926 al 1986, è stata un’istituzione pubblica, finanziata direttamente dalla Federazione Elvetica, da benefattori, industriali, civili rispettosi delle leggi, tutti ugualmente sedotti dal mito del miglioramento della razza, all’epoca dilagante in Europa. Per correggere, raddrizzare, addomesticare le pulsioni malvagie, eliminare le differenze, trasformare quella che viene considerata una “razza inferiore” in cittadini “normali”.

Così, magari qualcuno che pensava di “far del bene”, ha stabilito delle “misure coercitive a scopo assistenziale” che lo Stato elargiva a tanti bambini e adolescenti che per vari motivi (povertà, inadeguatezza educativa, divorzio o perdita dei genitori, ribellioni o accuse spesso inesistenti) venivano strappati alla famiglia d’origine per essere condotti, contro ogni loro volontà, in istituti religiosi, penitenziari o psichiatrici e da qui mandati a servizio presso aziende agricole e sottoposti ad adozioni forzate.

Il programma coinvolse dai 600 ai 2000 bambini jenish che di fatto furono allontanati in tenera età dalle famiglie originarie. Nel 1985 pare ci fossero ancora 100 jenish rinchiusi in istituti psichiatrici.

Solo nel 1986 il presidente della Confederazione Elvetica ha chiesto pubblicamente scusa. Nessuno (ripeto, nessuno) tra funzionari, politici, amministratori e cittadini coinvolti ha pagato nulla.

Allora mi chiedo se come Associazione UPper, come cittadini italiani ed europei, non possiamo chiedere al nostro Ministro degli Esteri, Al Presidente del Consiglio, al Presidente della Repubblica di promuovere con un atto formale una denuncia nei confronti della Confederazione Elvetica per avviare un serio processo dove siano stabilite responsabilità e venga fatta giustizia.

Nel contempo, sarebbe importante che quei cittadini svizzeri forti del loro senso di giustizia, dotati di pensiero libero e umano, si smarcassero per non finire nel calderone di questa infamia.

Una inquadratura del film “Dove cadono le ombre” di Valentina Pedicini

Un pensiero su “Le strade pulite non sono al primo posto”

  1. Non conoscevo questa orribile e assurda storia, così recente e così vicina, ma mi chiedo chi oggi possa denunciare in Italia ed in Europa, tutti complici come siamo di politiche assurde ed inumane, forse non più incentrate sulla difesa della razza ma sulla difesa dei confini. Basta leggere oggi dei migranti bloccati in Bosnia che stanno morendo di fame o di freddo o di quelli a Lesbo o in Libia o sul fondo del Mar Mediterraneo. Non so, siamo capaci di fare e giustificare gesti talmente inumani che anche tutti i gesti di solidarietà e d’umanità rimangono purtroppo insufficienti.
    Non vuole essere un alibi

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