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Ricordi di un’estate di plastica

RICORDI DI UN’ESTATE DI PLASTICA

Beatrice Barachetti

22/09/2021

Siamo appena usciti dall’acqua dopo un bel bagno rinfrescante e stiamo osservando il mare, che ha dei colori stupendi e riflette l’azzurro terso del cielo di agosto. Le onde però sono anche puntinate di strani luccichii e piccole, quasi trascurabili, macchioline di colore che spuntano qua e là. Guardo mio figlio, che è tutto bagnato e se ne sta in contemplazione in braccio al papà. Sulla sua spalla qualcosa attira la mia attenzione. Mi avvicino. Una microplastica.

Sono ancora indecisa se il momento più triste della mia vacanza passata in Sardegna sia questo oppure tanti altri. Per esempio quando io e mio marito abbiamo trovato un piccolo granchietto appena nato che affrontava la sua migrazione dalla spiaggia in groppa a un rifiuto di plastica spugnosa, non meglio identificabile. E con tanta pazienza lo abbiamo convinto a lasciare quell’appiglio in favore di una roccia vera. Oppure quando l’acqua della nostra caletta preferita, così silenziosa e poco battuta, a mezzogiorno si riempiva regolarmente di rifiuti provenienti da chissà dove. Plastiche di ogni dimensione, alcune talmente piccole da essere imprendibili. E così ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo deciso di portare in spiaggia ogni giorno un bel sacchetto che abbiamo riempito di tutto quel che siamo riusciti a recuperare dall’acqua con le nostre mani, l’unico strumento di cui disponevamo. Fino ad attirare l’attenzione di altri bagnanti, grandi e piccoli, che hanno contribuito alla nostra raccolta. Il nostro gesto ha avuto la portata di una goccia in mezzo al mare, un niente in confronto alla mole di rifiuti che inquinano le nostre acque. Ma abbiamo deciso di non farci sopraffare dal senso di impotenza e dare in qualche modo l’esempio. Gli altri bagnanti ci hanno seguito e hanno sentito la nostra mancanza quando cambiavamo spiaggia.

Ah, dimenticavo di dire dove ho passato l’estate. Anzi no, non lo dirò. Non lo dirò perché puntare il dito contro una località in particolare non serve a niente, a parte fare ingiustamente della cattiva pubblicità. Plastiche e microplastiche rimangono a mollo per anni, vengono trasportate dalle correnti, allontanandosi anche di molto dal luogo dove sono state disperse. Perciò non possiamo sapere da dove provenivano quelle che abbiamo trovato noi, né da quanto tempo viaggiavano nel Mediterraneo. Quel che è sicuro è che col tempo questi rifiuti degradano e si frammentano sempre di più, finché non vengono scambiati per cibo ed entrano nella catena alimentare. Ecco, forse il momento più triste della vacanza è stato proprio questo, quando ho visto un banco di piccoli pesci nuotare attorno a una nuvola di microplastiche in cerca di qualcosa di buono.

 

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