Browse By

Una testimonianza da Salonicco

Quasi per caso, qualche tempo fa, siamo venuti a conoscenza di una bella esperienza vissuta, a fine estate, da una ragazza di Carenno, Clara De Luca. Studentessa di medicina all’Università di Padova, con alle spalle un periodo di volontariato in Nepal in una struttura per bambini affetti da AIDS e malnutriti, Clara  ha deciso di cogliere un’altra opportunità di condivisione e impegno, questa volta nella Grecia del nord, dove opera l’Associazione QRT Quick Response Team. 

Ci sembra importante segnalare e valorizzare le scelte, da parte di non pochi giovani anche del nostro territorio, di ‘aprirsi al mondo’ e offrire il proprio contributo in prima persona in qualcuna delle tante realtà fortemente critiche, prossime o lontane, che toccano molti abitanti del pianeta terra.

Ringraziamo Clara e l’Associazione per il lavoro che svolgono e per aver risposto al nostro invito di condividere la loro esperienza attraverso il racconto ed alcune immagini dal Campo profughi di Diavatà, presso Salonicco, che qui proponiamo.

Cristina Melazzi

———

Quante cose diamo per scontate, nella nostra vita di tutti i giorni? Aprire gli occhi di mattina, dopo un sonno, più o meno lungo, su un materasso confortevole, sotto al piumone d’inverno, a una coperta più leggera nelle mezze stagioni e a un semplice lenzuolo d’estate. L’acqua potabile e potersi fare una doccia lunga e calda dopo un’estenuante giornata di lavoro, o semplicemente in una giornata fredda. I mezzi di trasporto pubblici o privati che ci portano dove vogliamo quando vogliamo. L’amore delle persone che ci circondano, che sappiamo essere da qualche parte al sicuro, sappiamo che non rischiano di esserci portate via da un momento all’altro.

Queste sono solo alcune delle cose che tutti i giorni viviamo, senza domandarci perché, senza neanche renderci conto del nostro privilegio. Senza renderci conto dei nostri Diritti, che a tratti sono diventati privilegi. Ma soprattutto, non ci chiediamo quale sia il meccanismo per cui una persona che questi Diritti non li ha, perde valore ai nostri occhi. Diventa un problema, un numero, un argomento di cui parlare in dibattici asettici e privi di empatia. In altre parole, a me sembra che, in questo modo, la persona priva di Diritti Umani perda anche umanità ai nostri occhi, così che noi ci sentiamo legittimati a non trattarla come una nostra pari, ma possiamo respingerla e allontanarla dal nostro piccolo giardino in cui coltiviamo con cura i nostri Diritti, che assolutamente non possiamo condividere, perché abbiamo paura che poi non siano abbastanza anche per noi.

Di cosa sto parlando?  Parlo di tutte quelle persone che non possono dare per scontato nulla nella propria vita, perché la loro casa ormai è un ricordo lontano, un ricordo intriso di sofferenza e rimpianti, perché hanno dovuto lasciarla a causa della guerra, della povertà, della violenza, delle persecuzioni e del cambiamento climatico. Gli affetti sono altrettanto incerti, e c’è sempre la paura che la violenza degli uomini si porti via i propri familiari. La consapevolezza di non essere mai al sicuro e che le persone che amiamo rischiano costantemente la loro vita facendo le azioni più banali, come fare la spesa, scava un buco dentro e infonde un senso di insicurezza che taglia le ali delle persone. Se non sai che domani tu e la tua famiglia sarete vivi, come puoi organizzarti la vita? Come puoi pensare nel lungo raggio?

Per non parlare delle persone che vivono anni in campi profughi, in cui la vita è necessariamente messa in stand-by, senza che ci possano fare niente. Mentre a noi basta aprire internet e comprare un biglietto aereo per la destinazione che più ci interessa, queste persone sono dovute partire lasciandosi dietro tutta la loro vita. Sono partite sapendo di essersi lasciate alle spalle la violenza, ma allo stesso tempo, quello che forse non sanno, è che si sono anche precluse una buona parte del loro futuro. Si, perché il processo di arrivare in Europa è lunghissimo e quando ci sei dentro, la tua vita non è più nelle tue mani, ma dipende dagli Uffici dell’Immigrazione e dalle politiche di quel paese in questa materia.

Sono stata in un campo profughi in Grecia recentemente, e ho visto queste persone. Ho conosciuto tante storie, tutte uguali sotto molti punti di vista, di tristezza, rassegnazione e impotenza. Persone che vivono per anni in un container; bambini che vivono la loro infanzia nella precarietà di una condizione che spaventa loro e i loro genitori; adolescenti che crescono senza punti di riferimento. In fondo, come puoi avere una vita sana se ogni giorno devi condividere il tuo spazio, ovvero il container che ti è stato assegnato, con un’altra famiglia? I container sono così strutturati: entrando, ci si trova di fronte un piccolo bagno e a fianco un piccolo angolo cottura; sulla sinistra una camera, sulla destra un’altra. Stop. Due famiglie condividono questi spazi. In quella camera si devono vivere tutti i momenti della giornata: pasti, momenti di relax, momenti di sconforto in cui tutto quello che si vuole è essere lasciati soli. La grande azione di de-umanizzazione di queste persone che facciamo, e che a volte ci viene suggerita, trattandole solo come numeri e problemi, ci impedisce di empatizzare con loro e di capire nel profondo non solo cosa voglia dire vivere in condizioni del genere, ma soprattutto che in quel modo nessun essere umano dovrebbe mai dover vivere. Né in Europa né in Afghanistan. Né ricco né povero. Né cristiano né musulmano. Né loronoi.

Volontaria di QRT nel campo profughi.

L’associazione con cui sono stata nel campo profughi di Diavatà, vicino a Salonicco, che si chiama QRTQuick Response Team, fa un lavoro bellissimo e fondamentale di supporto, in particolare per bambine, ragazze e donne, offrendo loro un posto sicuro, chiamato Casa Base, in cui possano passare del tempo e, per quanto possibile, lasciare i propri problemi più concreti all’interno delle mura del campo. Lì possono provare ad essere senza pensieri. Sono accolte ogni giorno da persone che vogliono far sentire loro il calore di mille abbracci e vogliono anche dar loro delle possibilità di riscattarsi e di costruirsi una vita, nonostante la permanenza in un campo profughi renda davvero difficile avere una vita degna di questo nome. Per esempio, i bambini possono andare a scuola, ma molti non riescono a imparare il greco oppure non se la sentono, essendo questa una lingua totalmente diversa dalla loro e soprattutto avendo loro in mente di procedere i loro viaggio verso altri paesi europei, come la Germania; inoltre, integrarsi in un paese in cui non ci si sente accolti, perché confinati in un campo profughi non è per niente facile, e questo non aiuta a integrarsi all’interno della classe. In Casa Base invece vengono organizzate delle attività educative appositamente per le ragazze: lezioni di lingua, Macramè, cucito, arte, Yoga, chitarra, danza e lavoretti vari. Questo serve loro per sviluppare le proprie abilità e per scoprirne di nuove. Crescere vuol dire appassionarsi a qualcosa, imparare a fare progetti e capire come fare a realizzarli; ma vivere in un campo profughi, in modo precario e instabile, rende impossibile sognare in grande e provare a concretizzare le proprie idee, perché non si è liberi di essere ciò che si vuole, a causa della mancanza di documenti e di opportunità.

La merenda.

Un momento molto importante in Casa Base è la merenda, che viene preparata con impegno dai volontari, che in questo modo trasmettono alle bambine e alle ragazze un senso di cura e di attenzione che spesso passa in secondo piano, tra tutti i problemi concreti che le loro famiglie si trovano a dover risolvere quotidianamente all’interno del campo.

Tra i problemi più concreti, ci sono la difficoltà a reperire beni di prima necessità come medicine, pannolini, assorbenti e in alcune situazioni, anche alimenti. Per questo, QRT, grazie anche ad altre associazioni e organizzazioni con cui collabora, organizza distribuzione di questi beni di prima necessità all’interno del campo. Inoltre, non bisogna dimenticare il supporto medico che viene fornito gratuitamente a chi ne ha bisogno.

Volontari preparano delle scatole di aiuti alimentari per le persone che vivono nel campo.

Infine, un’attività che davvero è resa possibile dal talento che queste ragazze hanno e dalla loro resilienza è il corso di fotografia, tenuto da un volontario esperto in questo campo. Scattare fotografie è diventato per loro un modo per trasmettere il senso di oppressione che provano all’interno del campo, le paure riguardo il loro futuro e i loro sogni e desideri, la cui realizzazione vedono purtroppo lontana. Vedere queste fotografie, belle e intense, fa realizzare che queste ragazze sono rinchiuse nel campo, ma dovrebbero essere libere di vivere ed esprimere la loro creatività in un posto sicuro, in un posto che possano chiamare casa, senza dover temere la guerra e la violenza intorno a loro.

Insomma, le cose da dire riguardo alla vita nel campo sono infinite e sono davvero difficili da trasmettere, potendo solo descrivere a parole quello che io ho sentito dentro di me. Spero solo di avervi trasmesso un po’ del dolore che io ho provato conoscendo donne molto intraprendenti, piene di sogni e progetti che però non potevano concretizzare perché rinchiuse in questo limbo. Questo dolore e senso di ingiustizia non deve rimanere sterile dentro di noi, ma deve tramutarsi in azioni concrete: noi, nati nella cosiddetta parte giusta del mondo, possiamo usare la nostra voce potente per fare in modo che ci sia un cambiamento, e per fare in modo che l’uguaglianza e l’equità diventino realtà per tutti e tutte. La nostra azione, è vero, è un granello di sabbia dentro a un mare di indifferenza e violenza, però è sufficiente che una persona tragga un minimo beneficio da quello che noi facciamo, per dargli un senso e per farci credere nella potenza che questo può avere.

Grazie per il vostro ascolto.

Le foto che accompagnano questo articolo riguardano la vita del campo e di Casa Base.

Lo spazio adibito ai giochi all’aperto in casa base.

2 pensieri su “Una testimonianza da Salonicco”

  1. Provo tanta ammirazione per le persone che dedicano il proprio tempo per aiutare questa umanita’ sfortunata. E traggo motivo di speranza nel vedere ed ascoltare giovani con tanta umanita’ e tanto coraggio.

  2. La descrizione di questa bellissima esperienza mi ha lasciato un duplice sentimento: di gratitudine per il lavoro che Clara e questa Associazione fa nei confronti di quanti sono costretti a lasciare la propria terra, la propria casa, la propria vita a causa delle precarie condizioni di vita cui sono costretti sia per la poverta’sia per le guerre. Un sentimento di sdegno per le ingiustizie che questo sistema economico basato sul profitto crea disparità lasciando intere popolazioni prive dei diritti umani fondamentali.
    Queste esperienze ci siano di sprono per lottare affinché ogni essere umano sia considerato come tale e non come oggetto di profitto.

Rispondi a Alessandro Tironi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.