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Botto di Natale in Vaticano

Finalmente il Natale arrivò. Al Vaticano – un piccolo edificio a due piani dove stavano accalcate quattro famiglie – noi bambini si gustavano dolcetti e mandarini portati nottetempo da Gesù Bambino. Il dono importante era arrivato con Santa Lucia, mentre la slitta di Babbo Natale non percorreva ancora le nostre contrade nella seconda metà degli anni ’50 del secolo scorso.

In cucina a piano terra, unico locale oltre le due camere da letto, la stufa ronfava di prima mattina per il pranzo: bollito di cappone, coniglio al forno, contorno di mostarda Sperlari. Come amavo quella cucina, tanto severa da incarnare un rigoroso quanto inconsapevole spirito zen: tavolo con sedie, madia colma di farina gialla per la polenta, buffet con le stoviglie, ripiano con fornello a gas con bombola, due ganci con secchi d’acqua attinta nel pozzo del vicino. Unica concessione alla modernità, il Motom del fratello maggiore che rilasciava costantemente un leggero sentore di miscela.

Sopra il buffet, a Natale, troneggiava il bruscù (agrifoglio) smeraldino, tagliato senza alcun beneplacito nei boschi dei Corazza. Il miracolo del Natale faceva sbocciare, tra le foglie spinose, mandarini e ciondoli di surrogato di cioccolato ricoperti di carta stagnola cangiante. Addobbi da noi bambini peccaminosamente concupiti, che man mano passavano i giorni misteriosamente sparivano. Quando arrivava l’Epifania il bruscù era bell’e spoglio pronto per finire nella stufa.

Era tradizione che il giorno di Natale, a mezzogiorno, C. del piano di sopra uscisse sul poggiolo del retro del Vaticano e sparasse in aria due colpi di doppietta. C. era il padre dei miei migliori amici, tanto buono quanto taciturno. Aveva una carnagione cotta dal sole, scavata dal salnitro, mi sembra di ricordare avesse lavorato a lungo in una cava.

Quell’anno C. aveva deciso che voleva fare qualcosa di diverso, di più roboante delle solite fucilate al cielo di ovatta.

Da esperto confezionò quello che noi chiamavamo cotechino, un piccolo involucro cilindrico riempito di polvere nera con una miccia corta. Andò sul poggiolo, diede fuoco alla miccia con l’immancabile sigaretta sempre accesa all’angolo della bocca e lasciò cadere il cotechino nel sottostante cortiletto.

L’effetto fu maestoso! Tutti i vetri del Vaticano andarono in frantumi. La pioggia di schegge nell’impatto con il pavimento di cemento produsse un’apoteosi di tintinnii, di argentei campanellini, che accompagnarono come meglio non si poteva la magia del Natale.

Marginale fu il disagio di tamponare le finestre con fogli di carta in attesa che le feste finissero per chiedere l’intervento del falegname. Anche il freddo non ci sembrò più tignoso del solito, considerati i serramenti da sempre sbilenchi, smangiucchiati negli angoli, che consentivano ai topi una fuga agevole anche a porte chiuse.

Ah, tempo beato dove non esistevano assemblee condominiali, amministratori, regolamenti, tali da attentare al nostro alto livello di reciproca tolleranza. Il botto di Natale non turbò i rapporti tra le famiglie e, soprattutto, il dovere di continuare ad onorare questa santa festività. Troppo forte era stata l’attesa per il cappone bollito, il panettone coi canditi e il giro di spumantino anche per noi bambini, non proprio grand reserve, ma buono per scaldare i cuori e le orecchie ceree.

Angelo Gandolfi

4 pensieri su “Botto di Natale in Vaticano”

  1. Grazie, Angelo. Il tuo racconto fa sentire i sapori delle bontà che descrivi con dovuta attenzione. Dà il calore delle atmosfere della nostra infanzia e l’ autenticità del Natale atteso e vissuto intensamente. È gradevole leggere i tuoi racconti.

  2. Grazie di questo bel racconto di Natale, tra Dickens e Meneghello, e pur così Eppeniano
    Buon Natale e buon 2023 a tutti i lettori e un abbraccio a Angelo. Maurizio Noris

  3. Incantevole descrizione dei tempi andati; chiunque li abbia vissuti ( ed io sono tra quelli ), riandrà ai ricordi pressochè dimenticati della infanzia lontana e si riconoscerà nel clima festoso del Natale semplice ma pienamente apprezzato specialmente dai bambini di allora. Pochi ed economici doni garantivano momenti di felicità che rallegravano anche le case dei bambini poveri, che si sentivano ricchi solamente per quei pochi giorni grazie a questa atmosfera di attesa e di festa che Angelo è riuscito a raccontare in modo magistrale. Splendida anche la descrizione della cucina simile in tutte le nostre case di allora…Motom a parte.

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