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E’ lecito uccidere per evitare un male peggiore?

Monica Costa con questo post inizia una collaborazione con il nostro blog. Monica è una operatrice culturale a tutto tondo. Protagonista di appassionate serate di letture pubbliche, bibliotecaria, ha soprattutto il raro privilegio di sapersi perdere nelle pagine di un buon libro e di provare quello stupore, quelle emozioni, che ne fanno una lettrice particolarmente sensibile. Qui recensisce l’ultimo romanzo di Javier Marἰas.

Tomás Nevinson, di Javier Marἰas, Einaudi, 2022

“Ho avuto un’educazione all’antica e non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna.”

È l’incipit, folgorante, dell’ultimo romanzo di Javier Marἰas, scrittore madrileno classe 1951, già autore di numerosi e bellissimi romanzi che personalmente ho sempre amato molto, da quando, una ventina di anni fa Sergio me li fece conoscere.

Fu lui, se non sbaglio, con Domani nella battaglia pensa a me, ma potrei ricordare male.

La memoria è alterata, come dice a un certo punto lo stesso Marἰas.

Si tratta di una spy story, a prima vista, almeno per quanto riguarda il cliché narrativo. Il protagonista, Tomás Nevinson, che è anche il titolo del libro, è un agente del Mi5 o Mi6, i famigerati servizi segreti della Corona, con il primo dipendente dal secondo in scala gerarchica, ma in realtà il funzionamento è molto più intricato, complesso e a volte decisamente insondabile.

Non è chiaro a quale servizio appartenga con precisione il nostro personaggio, che assume ad ogni missione nomi e identità diversi e ovviamente costruiti ad arte, fasulli ma forse non falsi finendo il protagonista per adattarsi alle nuove vite che il trasferimento immediato e forzoso dalla sua città, Madrid, in svariate sedi soprattutto in Inghilterra, gli impongono.

Tomás Nevinson cede alla tentazione di tornare nei servizi segreti dopo esserne uscito: gli viene proposto di andare in una città del nord-ovest della Spagna per identificare una persona, una donna, che dieci anni prima aveva preso parte ad alcuni attentati dell’Ira e dell’Eta.

La trama in breve è questa, che cito testualmente dalla quarta di copertina del libro. Siamo nel 1997, in un’epoca ancora molto turbolenta della storia europea dal punto di vista del terrorismo e degli equilibri geopolitici successivi alla caduta del Muro.

L’incarico gli viene affidato dal suo ex superiore Bertram Tupra, che già all’inizio della sua vita adulta, mentre era ancora un brillante studente di Oxford molto portato per le lingue, lo aveva ingannato e condizionato per sempre, assoldandolo con un ricatto nei Servizi Segreti britannici.

“Uccidere non è un gesto così estremo se si ha piena nozione di chi si sta uccidendo”.

Si può dire che il ribaltamento del quinto Comandamento è il fulcro centrale di questo libro.

E’ lecito uccidere qualcuno se questo qualcuno è un sicuro o probabile criminale, che si è reso o si renderà presumibilmente colpevole di delitti contro l’umanità (all’inizio si fa riferimento a un episodio, verificato storicamente, di un ‘occasione di uccidere lo stesso Hitler)?

E’ legittimo commette un assassinio? “Sì, un assassinio, nient’altro che un assassino” diceva Dumas ne I tre moschettieri’, per evitare che vengano uccisi innocenti, che il crimine venga perpetrato, che si organizzino nuovi attentati?

In questo caso ci si riferisce a quelli dell’Eta e dell’Ira, ma l’interrogativo etico è universale.

Sono le domande, sempre più stringenti man mano che l’appassionante storia procede, i dubbi che si pone Tomás Nevinson, che si pone l’autore e che naturalmente ribalta sul lettore, mettendolo alle strette, costringendolo a chiedersi se le persone non possano cambiare, se non abbiano diritto a rifarsi una vita, a pentirsi.

A lui tocca esercitare il castigo o la vendetta o la prevenzione, essendo un agente segreto costretto proprio a quella missione. A lui tocca tenere al riparo, vigilare sulla vita della gente comune, a lui, al suo capo e a quelli come lui.

Perché in fondo anche loro, i criminali, hanno o hanno avuto una vita, qualcuno che li ha amati, con cui avevano stretto rapporti di amicizia, che li ricorderà o piangerà per loro, alla loro morte. E i terroristi non meritano pure loro una forma di compassione?

Come uscirà il protagonista dal dilemma morale? E noi?

Oltre a questa ci sono le storie personali e poi il romanzo è davvero una spy story emozionante e appassionante. Che ti tiene attaccato alla pagina fino alla fine. Edi cui ovviamente non posso svelare il finale.

Nevinson ha una famiglia a Madrid. La moglie, Berta Isla è la protagonista del suo precedente romanzo dove era la vita di lei ad essere narrata, una vita a tratti distante da quella del marito sempre in missione e quindi inevitabilmente lontano, tanto da crederlo morto.

Ci sono anche due figli, Guillermo ed Elisa. E c’è un tentativo di ritorno alla vita famigliare, dopo molti anni di assenza, con i figli ormai grandi e Berta in parte allontanatasi emotivamente da lui (non del tutto, non del tutto).

Questo nuovo romanzo non è però un seguito del primo, ognuno si può leggere autonomamente. Piuttosto i libri fanno “coppia”, come ha dichiarato lo stesso autore.

A un certo punto, dicevo, Tomás viene richiamato in servizio, credendosi ormai fuori e accetta. Un po’ si sente costretto dal suo ex-superiore, perché dai servizi non si esce mai del tutto, un po’ ha bisogno di sentirsi ancora utile, fedele a una causa e, diciamolo, potente. Anche se si tratta, come vedremo di una sensazione effimera che lo stesso protagonista ripudierà in favore di altre, per esempio quelle che nasceranno dai rapporti che instaura con le donne indicate come possibili collaboratrici a sanguinosi attentati.

Inés Marzan, María Viana, Celía Bayo, una delle quali viene indicata da Tupra come la pericolosa terrorista neder irlandese Magadalea Orúe O’Dea.

Il suo superiore, in arte Bertram Tupra, è uomo molto influente, in diretto contatto con i poteri forti, e che a volte agisce per conto suo, o così dice. L’inganno, la bugia dominano in questa storia, l’ambiguità di fondo la fa da padrona.

Ci sono molti altri temi, questo romanzo apre infinite possibilità di riflessione ed è impossibile riferirle tutte, qui.

Il rimando stilistico e teorico dell’opera è come sempre molto shakespeariano. Le citazioni abbondano, soprattutto dal Macbeth, ma anche da altri autori. Ma non si tratta di uno sfoggio colto, semplicemente ci viene da pensare che Shakespeare avesse già detto tutto sull’essere umano.

La scrittura ha frasi ripetute, è iterativa, quasi un mantra. I concetti non vengono però ribaditi per chiarire ma per approfondire, per aumentarne il carico emotivo.

Il linguaggio infatti non è emotivo di per sé ma in apparenza molto razionale, poi va a scavare nei personaggi fino all’emergere del minimo dubbio, delle intenzioni, delle contraddizioni, e in particolare si concentra sui sentimenti della pena, della compassione, della freddezza necessaria a un agente segreto, sul dubbio, sullo scrupolo.

Più di tutto direi che è un libro sugli scrupoli, sulla legittimità delle azioni e su quello con cui si farà, se si sceglie il male, anche quello minore.

L’emozione si evoca con lo scavo psicologico, quasi analitico fatto sulle emozioni dei personaggi, sulla propria conoscenza del sé profondo, sull’identità che cambia e che nessuno conosce mai veramente, sia quella degli altri ma soprattutto la propria, sempre più vaga, indistinta.

Marἰas si interroga (e ci interroga) sulla giustizia, sulla condanna, su ciò che è lecito fare, giungendo addirittura all’assassinio, per contrastare i colpevoli, in questo caso di atti terroristici tremendi ma si potrebbe generalizzare e includere le guerre dell’oggi.

La mia passione per la lettura, che ho sempre avuto fin da piccolissima, mi porta a fare a volte scoperte grandiose, a scovare tesori di inestimabile valore ma anche divertenti e appassionanti, romanzi che come diceva Calvino dei classici, hanno e avranno sempre qualcosa da dire, perché parlano dell’umanità, delle grandi eterne questioni della giustizia, degli affetti, dell’amore e naturalmente della morte.

Credo che questo libro diventerà, in questo senso, un “classico” o comunque un romanzo fondamentale. Almeno è così per me.

E’ bello quando ti trovi davanti ad un libro così, è come esplorare un nuovo territorio ancora incontaminato.

Averlo finito è stato quasi un lutto, che ho rimandato anche se di poco, non potendo resistere al richiamo, quasi all’urgenza di procedere, inesorabile, verso la fine.

Me lo sono bevuto in quattro giorni, con un senso di suspence fortissimo e quasi di apprensione per la paura di finirlo (“non ancora, non ancora” e chi lo leggerà capirà) che non provavo da tempo.

Ricapiterà? Può essere, potrebbe essere. Con i libri non si sa può mai sapere.

“Finché la vita non finisce tutto può accadere”.

Monica Costa

2 pensieri su “E’ lecito uccidere per evitare un male peggiore?”

  1. La recensione di Monica Costa é davvero molto intrigante, tanto più nel momento storico che stiamo vivendo.
    Un libro dai contenuti potenti che sono certamente uno stimolante invito alla sua lettura.
    Grazie per la segnalazione.

  2. Benvenuta Monica nello staff della Redazione di UPper!
    Sì, credo di averti consigliato io “Domani nella battaglia pensa a me” che ho suggerito a decine di amici.
    E prendo questa recensione come un ricambio di consiglio, lo leggerò sicuramente.

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