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Il giorno del ricordo e le altri stragi senza memoria e senza giustizia

Il giorno del Ricordo è stato istituito in Italia con una legge dello Stato del 2004: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.“ (Legge 30 marzo 2004, n. 92).

In pratica, è la giornata dedicata al ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano – dalmata: infatti, a seguito dei trattati di Parigi l’Italia, sconfitta nella II seconda guerra mondiale, fu costretta a restituire i territori conquistati e cedere alla Jugoslavia Fiume, Zara, l’Istria e parte del Carso triestino e goriziano. Proprio nei territori carsici, nelle insenature delle rocce chiamate foibe, vennero nascosti i corpi di tanti italiani, appartenenti a vari schieramenti politici, che si opposero al regime di Tito. Vennero sommariamente giustiziati e fatti sparire in queste insenature, per la sola colpa di essere italiani, nell’ottica di una pulizia etnica e ideologica.

 

Come fatto per il “giorno della memoria”, dove le vittime ricordate sono quelle della Shoah, i 6 milioni di ebrei e le altre vittime (omosessuali, disabili, rom) uccisi nei campi di sterminio, il nostro sito apre alla riflessione che fatti efferati come le uccisioni delle foibe e la pulizia etnica non si ripetano “mai più”.

 

Aggiungiamo anche che una giornata del ricordo dovrebbe comprendere tutte le vittime del nazifascismo e le stragi rimaste per lo più impunite.

Fra il 1943 e il 1945 decine di migliaia di civili inermi furono vittime di 2273 stragi brutali compiute da nazisti e fascisti lungo tutto il territorio del nostro paese. Un elenco tragico e infinito che comprende nomi ormai noti e tanti altri completamente sconosciuti.

 

L’armadio della vergogna, un tarlato mobile tinta testa-di-moro, al fondo di un corridoio defilato della Procura generale militare, andito seminascosto del cinquecentesco Palazzo Cesi, via Acquasparta, Roma – protetto da un cancello munito di lucchetto, le ante serrate a chiave, voltate verso il muro – ha imboscato per mezzo secolo, come un pozzo oscuro, un registro di protocollo di 2.274 notizie di reato e 709 faldoni di istruttorie, dei quali 415 con nomi e cognomi, e tanto di grado e reparto di appartenenza dei responsabili, che avevano massacrato migliaia di civili, ebrei e partigiani alle Fosse Ardeatine, a Piazzale Loreto, Porta San Paolo, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Duomo di San Miniato, Farneta, Barletta, Benedicta,  Turchino, Matera, Pietransieri, Falzano di Cortona, Conca della Campania, Niccioleta, La Storta, Sarnano, Scarpanto, Leonessa, Valdobbiadene, Capistrello, Gubbio, Godenzo, Fivizzano, Sant’Angelo di Godigo, Biagioni, la strage della famiglia Einstein, Borgo Ticino… e di militari italiani a Cefalonia, Corfù, Coo, Korica, Lero, Santi Quaranta, Spalato, Rodi… presumibilmente attorno alle cinquantamila persone complessivamente.

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