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Terza puntata. Sulle tracce delle civiltà precolombiane

Una lungo viaggio in autobus (circa 10 ore), inframezzato dalle visite a Pukara (museo), Raqchi (uno dei templi più importanti dedicati al Dio Inti, il Dio del sole) e Andahuailillas (c’è una chiesa denominata “La Cappella Sistina del Sudamerica”, per la presenza di affreschi), ci porta da Puno a Cusco.

Finalmente ci siamo: abbiamo raggiunto la meta principale del nostro viaggio, la capitale del grande impero Inca.

A Cusco soggiorniamo presso il CAITH (Centro di assistenza integrale alle lavoratrici domestiche, http://www.caith.org/index-it.html), che rappresenta uno dei migliori esempi di tutela di giovani bambine altrimenti destinate per una vita al “lavoro” domestico, molto spesso in un contesto di privazioni, violenze e desolazione. Vittoria Savio, italiana, dopo decenni di lotte e sacrifici, ha costruito sia fisicamente che moralmente per queste bambine provenienti da un mondo spesso sconosciuto ai più, un angolo di protezione, dando loro non una casa da accudire ma una casa dove essere accudite e preparate alla vita. Il turismo responsabile consente al CAITH di autofinanziare i vari progetti sociali che di volta in volta propone. La cena viene servita nella cucina dove gli ospiti si siedono tutti intorno allo stesso tavolo e dove, in un miscuglio di lingue differenti, inevitabilmente si finisce a parlare del Perù e dei suoi problemi, soprattutto con riferimento ai bambini.

Cusco, mitica capitale dell’Impero Incaico, è una città piena di monumenti e reliquie storiche progettata dagli Inca secondo la forma del puma, ritenuto un animale sacro insieme al condor e al serpente. Visitare questa antica città nella valle del fiume Huatanay, nelle Ande Sudorientali del Perù, a 3.360 metri sul livello del mare, è un’esperienza indimenticabile, che consente di svelare alcuni misteri degli Inca, dato che fu l’ombelico del mondo andino. La storia della città imperiale, secondo la leggenda, risale al secolo XI o XII quando il primo Inca, Manco Capac, fonda Cusco secondo i dettami del Dio Sole.

La capitale archeologica d’America è circondata da impressionanti resti archeologici come la cittadella di Machu Picchu, la fortezza di Saqsaywaman, il complesso di Ollantaytambo e pittoreschi villaggi come Pisaq, Calca e Yucuay che mantengono ancora le tradizioni dei loro antenati.

Visitiamo i numerosi siti archeologici presenti nelle immediate vicinanze della città, e ci colpisce particolarmente la fortezza di Sacsayhuamán (il nome significa letteralmente “falco soddisfatto”). Costruita intorno al 1500 circa, si erge in una posizione dominante della collina di Carmenca, che svetta a nord della città.

Sacsayhuamàn

 

Ad ogni solstizio d’inverno vi si festeggia l’Inti Raimi, la festa di Inti, il dio del Sole. In tale circostanza vengono ancora effettuati rituali risalenti all’epoca incaica.

La costruzione è così peculiare per via della grandezza di alcune pietre, incastrate con una precisione quasi inimmaginabile senza l’ausilio di nessuna malta o cemento. Risulta quasi inesplicabile per noi capire come gli inca poterono tagliare con tale maestria le pietre, per cui tra una e l’altra non passa la lamina di un coltello. Il grandioso complesso presenta una muraglia principale formata da pietre alte 5 metri, larghe circa 2,5 metri che possono pesare tra le 90 e le 120 tonnellate.

Cronisti ed archeologi concordano nell’attribuire al piano della città di Cusco la forma di un puma, di cui la fortezza di Sacsayhuamán rappresenterebbe la testa, com’è facile intuire dalla muraglia che procede a zig-zag ricordandone le fauci. Alla sommità, inoltre, è visibile l’occhio dell’animale. Questo almeno prima dell’arrivo dei conquistadores spagnoli, i quali prelevarono dal sito numerose pietre per costruire case e chiese nella città, oltre a modificare la struttura della città stessa.

In questo luogo si tenne anche una visita del papa Giovanni Paolo II, nel 1985. Il giorno successivo partiamo per un tour nella Valle Sacra, dove visitiamo:

Le Saline di Maras, un insieme di piccole terrazze contenenti bacini d’acqua, scolpite nel fianco della montagna. Queste pozze erano, e sono tuttora, destinate a raccogliere le acque salate di una fonte sotterranea. Viste dall’alto formano uno splendido mosaico color ocra, marrone e bianco

Saline di Maras

Moray, dove esiste una struttura formata da terrazzamenti circolari concentrici come se fossero un cratere artificiale. Sembra che il luogo fosse un centro di ricerche agricole inca, dedicato alla sperimentazione di coltivazioni sui livelli di differente altitudine degli appezzamenti.

Moray

Ollantaytambo , fortezza inca di cui il nome significa locanda di Ollantay (il nome di un guerriero), fu una delle città dove inca e spagnoli si batterono quando Manco Inca cercò di raggruppare la resistenza inca dopo la disfatta di Cusco. Percorrendo le scale che si inerpicano sui terrazzamenti, si arriva al cuore del tempio, di cui restano solamente poche pietre perimetrali. Una volta giunti sulla sommità del sito si può apprezzare una costruzione particolare sulla montagna di fronte. Si tratta di un grosso deposito Inca per il cibo (probabilmente un granaio), la cui posizione era stata individuata in modo da trovare un luogo più fresco (grazie ai venti della zona) dove le scorte potessero mantenersi più a lungo. Ai piedi di questa fortezza, si sviluppa una cittadina, stazione di partenza del treno che porta a Aguas Calientes , ultimo avamposto prima di salire a Machu Picchu.

Ollantaytambo

Daniel e Chiara

 

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