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Molte fedi sotto lo stesso cielo. Per una convivialità delle differenze

Un paio di mesi fa Don Giuseppe mi ha proposto di leggere un libro. Gli chiedo il titolo e l’Autore ma lui mi spiega: non si tratta solo di leggerlo, si deve condividere questa lettura con altre persone in un “Circolo di r-esistenza”.

Le ACLI di Bergamo da nove anni promuovono un percorso: “Molte fedi sotto lo stesso cielo. Per una convivialità delle differenze”. In programma dibattiti e concerti, rappresentazioni teatrali, film, ma anche cene e cammini in luoghi particolari. Il ragionamento che sta dietro a queste iniziative è che la comunità della provincia bergamasca (ma ormai comune in tante altre realtà), è cambiata profondamente e velocemente. I nostri paesi sono abitati sempre più da donne e uomini di fedi e di culture diverse. Anch’io personalmente condivido quanto le ACLI sostengono: “Il processo è inarrestabile. Va governato. Sbaglia profondamente chi dice che questo comporti solo problemi. Sbagliano anche coloro che sostengono che non ci siano difficoltà. La questione è complessa: negarlo è da ingenui, amplificarla, magari per ragioni politiche, è da irresponsabili. Una classe dirigente degna di questo nome deve però dire come i problemi intende risolverli, non solo agitarli o fingere che non ci siano”.

Le ACLI, è bene ricordarlo, sono un’associazione di laici cristiani che promuove il lavoro e i lavoratori, educa ed incoraggia alla cittadinanza attiva, difende, aiuta e sostiene i cittadini, in particolare quanti si trovano in condizione di emarginazione o a rischio di esclusione sociale. La presenza delle ACLI sul territorio di Bergamo è capillare e storica (dal 1944). E’ quindi un’Associazione che ha grande competenza sui temi sociali. Con il progetto “Molte fedi” le ACLI vogliono proporre un metodo: “assumere la fatica del discernimento, imparare la difficile grammatica degli altri (ovvero conoscere le altre culture), costruire terre di mezzo (ovvero luoghi e momenti di incontro), abituarsi a considerare, nella città sempre più plurale, l’alterità come occasione di crescita e non come pretesto di scomunica e di violenza”.

Ogni anno la rassegna ha un tema che fa da filo conduttore. Per il 2015 il tema è “Nascere di nuovo”. Ci si interroga “su quali ingredienti siano necessari per gettare le basi di una comunità nuova. Più civile e attenta. Che sappia dare possibilità a ciò che deve ancora nascere. Che vuole credere in politiche lungimiranti, nella ripresa culturale, e nel futuro, nei giovani. Che scruta i semi di rinascita, spesso piccoli, ma tenaci, già presenti come germogli.”

Ed è stato affidato al vicepriore di Bose, Luciano Manicardi, e al filosofo dell’Università di Macerata, Roberto Mancini, il compito di scrivere un testo “Nascere di nuovo” (pubblicato da edizioni Gruppo Aeper) che accompagni la manifestazione.  E, in tutta la provincia di Bergamo e oltre, sono nati oltre 130 “circoli di r-esistenza”, ovvero gruppi di lettura formati da una decina di persone, che tra ottobre e dicembre si sono trovati per leggere e approfondire il libro.

Di qui la proposta di Don Giuseppe di coinvolgere un gruppo di persone anche a Monte Marenzo (le indicazioni date dalle ACLI erano per un massimo di una dozzina di lettori, ma forse sarebbe stato interessante ampliare la discussione o dare la possibilità ad altre persone di partecipare anche come ascoltatori). Dopo la lettura individuale del libro ci si è ritrovati per tre sere in Oratorio per discuterne alcuni passi.

La discussione con gli altri lettori del Gruppo è stato aperto e vivace. Storie e convincimenti diversi dei partecipanti e il confronto anche tra fede e non fede ci ha dato la possibilità di affrontare il tema generale da diverse angolazioni ed individuare possibili idee e soluzioni.

Centrale è stata la discussione sulla ‘comunicazione’, e di come costruire una società basata sul rispetto del prossimo esige un’etica della parola, una responsabilità della parola ed il rigore della verità.

Comune è stato il giudizio che la crisi che viviamo è l’effetto di un progetto: quello mediante cui i grandi centri del potere finanziario globale hanno di fatto spodestato la democrazia sostituendola con una società subalterna alla loro oligarchia. La crisi è quella di una società che ha creduto nel potere e non nella giustizia o nella dignità umana.

Personalmente condivido alcune idee “possibili e praticabili” del filosofo Roberto Mancini nella parte finale del libro:

  • Percepire la realtà e pensare avendo fermo il concetto di dignità umana e non le nozioni del liberismo (competitività, flessibilità, crescita, PIL…);
  • Creare zone franche dove contano più le persone che il denaro, il potere, la reputazione, la burocrazia, il mercato. Lo si può fare nelle città, nei paesi, nelle scuole, nelle comunità religiose; lo si deve fare innanzitutto nelle famiglie, nei legami di amicizia, nelle relazioni educative. Se si bonifica il tessuto quotidiano della società, se essa diventa una ‘comunità di comunità’, allora vengono rigenerate le basi per una società equa, solidale, democratica.
  • Occorre esprimere un impegno politico collettivo e diverso, deciso a portare al centro sistematicamente la dignità, i diritti, la giustizia, sociale, la lotta alle diseguaglianze, la costruzione di un modello di società decente, per cui nessuno potrà essere offeso o escluso.

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