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Il profumo dei semi di pane

Ieri, una possente testuggine meccanica ha raso il campo di grano dietro casa.

Un solo uomo ai comandi per un’operazione asettica, un preciso andirivieni e in un paio d’ore era tutto finito: una distesa di stoppie d’altezza uniforme, girelle di paglia evacuate dalla macchina in modo simmetrico e il grano, i buoni semi di grano separati dalla pula già in viaggio per diventare farina candida.

Strano, non c’era nessun bambino a contemplare questo atto fondativo della civiltà umana. Da bambino ignoravo totalmente la rivoluzione antropologica prodotta dalla mietitura e trebbiatura dei cereali, e ancor meno della loro forza nella creazione di miti. Però una cosa era certa, quando arrivava “la macchina del frumento” era una gran festa, una eccitazione che durava per tutta la sua permanenza a Monte Marenzo.

Il suo arrivo era preannunciato dallo sferragliare lontano di un convoglio che lentissimamente risaliva da Calolzio percorrendo la provinciale sterrata. Da dove proveniva quel mostro? Dalla bassa dicevano, da pianure dove dei campi non vedi la fine. Molto, ma molto oltre l’Adda, e per noi era già nell’inimmaginabile.

Davanti a tirare un trattore gigantesco, nero, impregnato di grasso e fuliggine che spandeva intorno un inebriante profumo di nafta. Non lo dico con sarcasmo, quell’odore ci piaceva, ci portava nella modernità, molto meglio della merda dei buoi e dei cavalli. Trainata dal trattore “la macchina del frumento”, la trebbiatrice, un meraviglioso castello di legno arancione montato su ruote di ferro. L’ultimo veicolo della processione, l’imballatrice, un vero e proprio animale antidiluviano con al centro un grande e possente compattatore (ol crapù), che incessantemente picchiava per comprimere in parallelepipedi di paglia gli steli e le foglie della pianta.

Si andava il mattino presto ad assistere al rito dell’accensione del trattore. Che maestria nei gesti del trattorista! Posizionava una lampada accesa sotto la coppa dell’olio. Quando il fluido era caldo con sapienti gesti agiva con un volano sull’albero motore. Il miracolo si compiva e quel grumo di grasso e fuliggine prendeva vita, il suo cuore cominciava a pulsare con colpi cupi e lentissimi: pum… pum… pum. Avrebbe continuato a battere senza interruzione sino a sera, trasmettendo movimento alle altre macchine.

Sull’aia il tutto veniva allineato e collegato con lunghe cinghie con la torsione di Moebius e diventavano un solo corpo. Stupefacente! Un concerto per noi inedito, dal volume altissimo a più voci: stantuffi, pulegge, setacci, ventole, tonfi del crapù e cento altri meccanismi in movimento.

Tutt’intorno un affrettarsi di uomini, anche di donne e bambini, ognuno col proprio compito. Issare col forcone i covoni che il castellano faceva ingoiare alla macchina, spingere lontano la pula (gajàsc) sputata dalla feritoia del castello, accatastare le balle di paglia e, operazione sovrana, riempire i sacchi di grano da svuotare nel camerone della cascina. Le donne servivano acqua fresca di pozzo a questi uomini sudati e appiccicati di gajàsc, i quali, si concedevano un frugale intermezzo di pane e salame o pancetta, non disdegnando un fiato di vinello dell’anno precedente.

Come dal turibolo si alzano le essenze di incenso che riversano sui credenti la grazia divina, così da questo rito annuale si alzava una nuvola d’oro e di perla che spandeva una fragranza dolcissima di semi di pane, avvolgendo tutte le persone al lavoro col soffio di questo dono del creato.

Tutte al lavoro, meno una, il padrone del terreno. Una inamovibile presenza in giacca e camicia bianca che presiedeva alla suddivisione dei sacchi di grano: uno al mezzadro che aveva lavorato, una a lui che non aveva fatto niente. Tirate le somme al contadino rimaneva la metà del raccolto, del frutto della sua fatica, al padrone la somma di tutte le metà di tutti i contadini.

Non era il peggio. Nella numerosa famiglia di mio zio mezzadro al Butto, tanto onesto nelle suddivisioni col padrone quanto povero, accadde che l’unico figlio maschio decise di seguire “la macchina del frumento” per guadagnare qualche lira. Antonio non ritornò più, ucciso da quella macchina meravigliosa in quella bassa tanto lontana. Molto, molto oltre l’Adda.

Angelo Gandolfi

7 pensieri su “Il profumo dei semi di pane”

  1. Leggerti è sempre bello e rassicurante, caro Angelo. Amo questo tuo raccontare che somiglia a chi lo scrive. Un abbraccio Maurizio

  2. Ricordo quando si fermava nella strettoia di Forance al portone di PIO e dei Malighetti per fortuna non cerano macchine !!!!

  3. Grazie Angelo,
    questo tuo racconto rievoca la mia prima infanzia
    quando tutto ciò diventava motivo di festa perché tutta la famiglia, nonni in primis contribuivano ciascuno come poteva a rendere la fatica del lavoro meno pesante. Poi il destino si prese l’unico maschio di sette figli
    Una tragedia. I nonni e la mamma mi raccontarono di tutto ciò e con grande dignità e riserbo hanno saputo vivere questo dolore in modo molto intimo.
    Piery

  4. Un tuffo nel passato raccontato con dovizia di dettagli. La comparsa della macchina del frumento che sostituisce la mietitura a mano e la pazienza e la fatica di uomini e animali. Grazie, Angelo, per la tua gradevole e intensa ricostruzione di una importante fase del mondo contadino, un mondo che li accomunava tutti, come un cantico arcaico fatto di gesti ripetuti e tramandati di generazione in generazione.

  5. Io me la ricordo bene la macchina che sgranata il frumento x noi allora ragazzi era una festa ,nel cortile nostro erano dei piccoli proprietari non c’erano mezzadri. UN ALTRO AVVENIMENTO,SEMPRE IN QUEL CORTILE, ERA LA MATTANZA DEL MAIALE, PENSAND ORA MI FA ORRORE.ANTONI

  6. Grazie ad Angelo che ci regala questi racconti che ci fanno vivere l’esperienza di un mondo ormai così incredibilmente lontano.
    Io l’unica mietitura a cui ho assistito, con i figli, a quel tempo bambini, è stata diversi anni fa nelle Marche, dove abbiamo trascorso una bella vacanza in una cascina in mezzo ai campi di grano e di girasoli vicino a Montefano. La prima sera, poco prima del tramonto, una mietitrice enorme ha iniziato a percorrere avanti e indietro le colline dorate. È stato uno splendido spettacolo inaspettato che ci ha riempiti di sorpresa e di cui custodisco un caro ricordo

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