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Riflessioni su dono, perdono e compassione

Anche quest’anno Don Giuseppe ha chiesto ad alcune persone di leggere un libro… Come l’anno scorso, non si è trattato solo di leggerlo ma di condividerlo, di scambiare le proprie opinioni sul tema trattato.

Anche a Monte Marenzo è avvenuto ciò che accade in altre 130 realtà bergamasche e che abbiamo imparato a conoscere: i “Circoli di r-esistenza”, ovvero gruppi di lettura formati da una decina di persone, che tra ottobre e dicembre si sono trovate per leggere e approfondire un libro.

Il Progetto è proposto dalle ACLI di Bergamo e fa parte del progetto “Molte fedi sotto lo stesso cielo. Per una convivialità delle differenze”. Ogni anno la rassegna ha un tema che fa da filo conduttore, per il 2016 il programma si è sviluppato sul tema “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Genesi 4,9). E’ una domanda che risuona nel nostro tempo attraversato da mutamenti demografici e sociali, da veloci e inediti cambiamenti geopolitici, da venti di guerra fino alle coste del nostro Mediterraneo; eventi che ci stanno consegnando un mondo diverso da quello che fino a ieri abbiamo conosciuto. Un cambio di modello che esige da parte di tutti, nessuno escluso, la ricerca di una nuova lingua per ridire le ragioni dello stare insieme.

Da qui l’invito ai “Circoli di r-esistenza” della lettura di “Dono e perdono” di Enzo Bianchi, Priore di Bose.

In una società dominata dal mercato e sempre più individualista c’è ancora posto per il dono come atto autentico di umanizzazione? Questo si chiede l’Autore del libro. Quanto è vero quel dono, anche se lo si chiama “carità”, se oggi si dona con un sms una briciola a quelli che i mass media ci indicano di volta in volta come soggetti degni della nostra attenzione?

E il perdono? Si può e si deve perdonare? Esiste un limite tra l’atto cristiano del perdono e il senso della giustizia per i torti subìti e le colpe commesse?

Ed è vero o no che, di fronte al male, l’unica cosa seria che si può fare è “soffrire insieme”, praticare la compassione? Oppure se questo sentimento, questa passione, da assumere in primo luogo nelle relazioni interpersonali, non si debba limitare a tale dimensione, ma deve aprire una strada a livello sociale e anche politico ed economico?

Insomma le domande erano numerose. Qualcuno di noi ha tentato di dare qualche risposta o ha cercato di spiegare come la pensava e davvero le differenze di opinioni, se messe a confronto, non possono che far aumentare la consapevolezza che ogni tema ha mille sfaccettature.

Si può scoprire allora che il “dono” implica una dinamica di libertà e di desiderio che può innescare comportamenti positivi anche nel tessuto sociale. Che il “perdono” non significa dimenticare il male subito, ma avviarlo a guarigione. Che la “compassione” non è un sentimento pietoso, ma un modo di condividere la comune debolezza degli esseri umani.

perdono

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